16 marzo 2010

Prepotenti di ieri. Sicuro che erano peggio di quelli di oggi?

Pietà per i deboli, cioè per i Potenti. Quelli che s’illudono, col comandare, di essere qualcuno. "Cummannari - dicono in Sicilia - è megghiu ca fùttiri". Be' tutti i gusti sono gusti. Meno male che le psicologhe delle ASL non c’erano ai tempi dei Sonetti, se no sai che "scenufreggi" nei versi dell’ombroso e pessimista "Peppe er tosto", che questo lato segreto di debolezza dei potenti della Terra non mostra proprio di cogliere.
Più autoritari e prepotenti i sovrani di ieri o quelli di oggi? Dipende da che cosa intendiamo per "sovrani". Se lo intervistassimo – ma dovremmo prenderlo quand’era ancora lui – G.G. Belli se la caverebbe con un pensiero amaro e paradossale: "Una volta, nei tempi bui dell’autoritarismo, a fare i prepotenti erano in pochi, mentre oggi, nell’epoca luminosa della democrazia, per fortuna sono in molti".
Capito che carogna? Peggio di Woody Allen. Insomma, verrebbe fuori questo aforisma: "Come distinguere tra dittatura e democrazia? Semplice: nella prima comanda un solo dittatore, nell’altra tanti usceri". Pluralismo interno, direbbero in Rai. Burocrazia dei "colletti bianchi" nella società di massa, ha scritto il sociologo Veblen.
Altro che cattivi "soprani" (sovrani) di ieri. Quelli di oggi sono peggio, e non mi riferisco a nessuno in particolare, ma a tutti. E i potenti sembrano tutte carogne, non solo al Belli. E le "elites democratiche"? Be', è una teoria politologica tutta nostra, ma dell'Italia di ieri. Anche la satira è, guarda caso, nostra invenzione (tota nostra est satyra). E ti credo: dove c’è autoritarismo, c’è anche satira. I due eccessi convivono, si sorreggono a vicenda. Solo che il primo punisce il pensiero, la seconda lo favorisce. Ma la satira può anche esser vista come un tentativo di riequilibrio tra due diverse "debolezze". E' lo sfogo che il debole che si finge Sovrano Globale, Presidente Assoluto, Capo del Governo, Pontefice Massimo o comunque Dio in Terra (non bastandogli il Cielo), concede – bontà sua – ad un altro debole che si finge forte come lui, non di armi o decreti ma solo di versi graffianti.
Fatto sta, che questo famoso sonetto satirico del Belli sui potenti – re, papi o imperatori – è a sua volta così prepotente da entrare nel grottesco, e quindi nessun commento è possibile. Il sonetto è efficace, a differenza di tanti altri, fin dall'inizio della prima quartina, mentre a nostro parere è debole nella terzina finale, e cade addirittura sull'ultimo verso. Siamo sicuri che il Belli l’avrebbe rivisto e migliorato, se fosse rimasto a lungo il G.G.Belli che ci piace.
Una sola nota linguistica. Lui gioca su "soprani" e sovrani, perché, si sa, sopra stanno e "commannano", ma siamo sicuri che il popolino non conoscesse - al massimo - altro che soprani lirici, e gli altri li chiamasse re o papi. E' il bello della neo-lingua inventata dal Belli, che talvolta deforma parole dell'inaccessibile italiano colto (che non è il familiare latinorum delle preghiere del volgo) in una pretesa, virtuale, canzonatoria parlata popolare mai esistita. Popolaresca, quindi, non popolare.
Ma serviva al poeta satirico un termine che unisse tutte le categorie dei prepotenti istituzionali, quei deboli convinti di essere qualcuno solo perché comandano duramente sugli altri. La sindrome, scusate, della casalinga con la serva, oggi si direbbe della "signora" con la collaboratrice domestica, che solo lei può assumere o licenziare ad nutum, con un cenno. Nessun imprenditore potrebbe fare altrettanto.
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LI SOPRANI DER MONNO VECCHIO
C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo".
Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero".

21 gennaio 1931
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Versione. I sovrani del mondo vecchio: C’era una volta un Re che dal suo palazzo emanò ai sudditi questo editto: "Io sono io e voi non siete nulla, razza di canaglia. E fate silenzio. Io rendo dritto lo storto e storto il dritto: vi posso vendere tutti a un tanto al mazzo. E se vi faccio impiccare, non commetto un abuso, perché la vita e i beni io ve li ho concessi solo temporaneamente. Chi vive in questo mondo senza il titolo di Papa, di Re o Imperatore non può mai avere voce in capitolo". Con questo editto il Boia partì come messaggero, interrogando tutti i sudditi nel merito: e tutti risposero: "E’ vero, è vero".
IMMAGINE. Il marchese del Grillo (dal film di Comencini). Disegno satirico di Vauro.

3 commenti:

S.Pietrino ha detto...

Ottimo articolo. E tutti sono convinti che la frase celebre è del marchese del Grillo, non del Belli...

Donna di picche ha detto...

Sì hai ragione, i tempi moderni forse sono più (sottilmente) autoritari...

Nico Valerio ha detto...

Donna di picche, sì, ma senza esagerare: sotto il Papa si poteva essere condannati alla prigione solo per aver bisbigliato una critica in pubblico, e perfino essere condannati a morte su una soffiata (non verificata) di una spia (e tanti cittadini per soldi diventavano spie: il Potere corrompeva). Capitò anche nel processo al medico Montanari e amici, i liberali carbonari ghigliottinati in piazza del Popolo.
Ciò non accade in nessun Paese civile moderno, tranne - guarda caso - nelle Teocrazie moderne, dove regna l'Islam più fanatico al posto del Cristianesimo, ormai costretto da noi liberali ad essere moderato.
Diceva bene Cavour: "Come si può far politica coi preti, che dicono di parlare a nome di Dio?", e quindi pretendono di avere sempre ragione? Sarebbe come giocare a poker con uno che volesse tenere per sé tutti gli assi.

 
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