3 gennaio 2011

Altro che il popolo. Contro la scienza è il Belli il reazionario.

Ma quale popolo, quale “monumento alla plebe romana”! Che millantatore questo Belli: quale plebe poteva satireggiare sulle prime carrozze e navi a vapore (sonetti del 1834 e del 1843), o sulla pretesa di pesare "l'antimosfera", cioè l’aria, come si legge in un altro sonetto. Dunque non più ghiotti pettegolezzi da mettere in bocca a decani (servitori anziani), barbieri o calzolai, depositari del "gossip" nella Roma del Papa Re, ma addirittura la scienza, le nuove tecnologie, le nuove frontiere della medicina, dalle teorie del britannico dottor Brown all’omeopatia, alle prime vaccinazioni contro il vaiolo ("Er l'innesto", 21 aprile 1834), all’uso del parafulmine:

Che ssò sti parafurmini der cazzo,
ste bbattecche de ferro de stivale (…)
Nun ce sò le campane bbenedette
pe llibberà le frabbiche cristiane
da lampi, toni, furmini e ssaette?

("Li parafurmini", 11 novembre 1832).

Versione: Che cosa sono questi parafulmini della malora, queste aste di ferro da stivale (doppiosenso per persona sciocca)... Non ci sono le campane benedette, per liberare le case dei cristiani da lampi, tuoni, fulmini e saette?

Che dire poi della pubblicazione di confidenze filtrate dalle sedi diplomatiche (i tanti riferimenti alle lettere dello scrittore Stendhal, allora console di Francia), che ci ricordano alla lontana Wikileaks, o addirittura le notizie di politica internazionale, come i nuovi regni di Grecia ("Er re novo", 2 febbraio 1833) e del Belgio ("L'immasciatore", 23 novembre 1932), la caduta di Carlo X in Francia ("Ar zor Carlo X", 15 agosto 1830), la guerra di successione in Portogallo e tante altre notizie che esulano certamente dagli interessi popolare dell'epoca.

Il grande poeta, trascrittore in versi del dialetto parlato dal popolo di Roma, si è lasciato trascinare dalla sua erudizione, con centinaia di sonetti che nulla o ben poco hanno a che fare con i pur numerosissimi gustosi quadretti che dipingono l' ignoranza, le usanze, la diuturna fatica di vivere del volgo di Roma. Più si legge e vieppiù traspare un Belli polimorfo con la sua curiosità illuministica verso tutte le novità scientifiche (sia pure per criticarle), con le sue letture e critiche dell'Antico e Nuovo Testamento, nei confronti dei dogmi del cattolicesimo, e tanti altri argomenti lontanissimi dalle ristrette vedute del popolo romano, sempre e quasi soltanto alle prese coi problemi di sopravvivenza.

Addio al "monumento al popolo di Roma"? Almeno in parte.
In compenso si accende un raggio di luce sul Belli erudito, curioso di tutte le notizie scientifiche, le scoperte e le invenzioni, la politica internazionale e le piu' segrete cose del papato, avido lettore di gazzette e fogli di ogni provenienza, non solo di quelli stampati dal Cracas, la stamperia romana che a partire dal 1716 pubblicava il "Diario ordinario" e "Notizie per l'anno", voce della cronaca di Roma degli ambienti ufficiali, aristocratici e mondani, fatta di scarni resoconti, notizie di nascite, matrimoni e morti di insigni personaggi, descrizioni di cerimonie e banchetti, guerre ed episodi curiosi. Ma leggeva certamente anche Bollettini e giornali di provenienza napoletana, piemontese, toscana, austro-ungarica, francese, britannica, degli stati germanici e via dicendo.

Il Belli da giovane aveva visitato molti degli Stati Italiani, Napoli, Milano, Venezia, Firenze, e intratteneva corrispondenza con amici di vari Paesi stranieri. Un Belli in parte inedito e sconosciuto. Gran parte di questi sonetti, per cosi dire atipici, rispetto al dichiarato monumento alla plebe romana, sono deboli o scritti in un "romanesco" minore e percio' meno letti e meno noti anche ai cultori del poeta.
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Dell’utilita' e dell'etica dei parafulmini, che andavano a sostituire le giaculatorie, le invocazioni e il suono delle campane, per scongiurare la caduta delle folgori, il poeta si occupa in due diversi sonetti con lo stesso titolo ("Li parafurmini", 11 novembre 1832 e 28 maggio 1834). Ma critica anche cardinali e preti che adoperano il barometro, come nel sonetto "Er Cardinale caluggnato" (10 giugno 1834), che usava indirizzare la "collecta" nella messa (la preghiera silenziosa dei fedeli) per invocare la pioggia durante le siccita', e poi ancora nel sonetto "Le fattucchierie" (15 novembre 1843).

Il Belli aveva scoperto che in Inghilterra, gia' dal 1831 un certo Mr.Gurney aveva iniziato un servizio pubblico con diligenze a vapore che viaggiavano sulle disastrate vie dell'epoca. Il servizio era poi stato sospeso per le proteste degli operatori con diligenze a cavalli, dando inizio in Inghilterra, ad una lunga diatriba sulla pericolosita' e inadeguatezza delle nuove diligenze a vapore. In effetti ci furono molti tentativi di introdurre il motore a vapore nella locomozione stradale, anche con gravi incidenti, con morti e feriti. Ma il colpo di grazia fu dato dalla insostenibile tassa introdotta per proteggere gli interessi della "lobby" delle diligenze ippotrainate: 2 sterline ogni viaggio a vapore contro 2 scellini per le diligenze tradizionali, tanto che delle diligenze senza cavalli non si parlo' piu'. Era l'inizio invece dell'era delle ferrovie a vapore:
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ER MONNO SOTTOSOPRA
Dunque, quer che ffascéveno una vorta
pe ffiume un venti e ppiú bbufole in fila,
adesso lo fa er fume d’una pila,
e ll’arte mó dder bufolaro è mmorta.
Disce anzi che la ggente oggi s’è accorta
che cquer fume, un mill’ommini e un du’ mila,
co un par de rôte a uso de trafila,
pe cche mmare se sia, lui li straporta.
Pegg’è cche mmó ppe le carrozze vonno
nun ce sii ppiú bbisoggno de cavalli,
e ’r fume le strascini in cap’ar monno.
Eppuro un tempo aveveno er custume
li nostri bboni vecchi, bbuggiaralli,
de dí cch’er ggnente s’assomijja ar fume.
14 marzo 1834
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Versione. Il mondo sottosopra. Dunque il lavoro che facevano una volta lungo il fiume venti e piu' bufale in fila [per trainare dagli argini le barche controcorrente] adesso lo fa il fumo di una pila, [la caldaia del motore a vapore] e il lavoro del bufalaro è finito. Si dice anzi che oggi la gente ha scoperto che quel fumo [il motore a vapore] puo' trasportare in qualsiasi mare mille o duemila persone con due ruote a uso di trafila. Il peggio è che oggi per le carrozze vogliono che non ci sia piu' bisogno di cavalli e che il fumo le faccia viaggiare in capo al mondo. Eppure un tempo i nostri buoni vecchi, che vadano a quel paese, erano soliti dire che il fumo somiglia al niente.
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Siamo ormai verso la fine della sua produzione in romanesco, con il testo dei sonetti che si avvicina alla lingua italiana, e si vede sempre meno il Belli portavoce della vita e delle miserie del volgo di Roma, mentre affiora sempre di piu' un Belli distaccato dalle vicende popolari, ma erudito e attento osservatore (ancorché critico) delle novita' tecnologiche.

Tornando alle "diaboliche" carrozze a vapore, questo è un argomento che stuzzica il nostro poeta a tal punto che ne parla ancora in un sonetto del 15 novembre 1843, scritto dopo un periodo di silenzio:
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LE CARROZZE A VVAPORE
Che nnaturale! naturale un cavolo.
Ma ppò èsse un affetto naturale
volà un frullone com’avesse l’ale?
Cqui cc’entra er patto tascito cor diavolo.
Dunque mó ha da fà ppiú cquarche bbucale
d’acqua che ssei cavalli, eh sor don Pavolo?
Pe mmé ccome l’intenno ve la scavolo:
st’invenzione è ttutt’opera infernale.
Da sí cche ppoco ce se crede (dímo
la santa verità) ’ggni ggiorno o ddua
ne sentimo una nova, ne sentimo.
Sí, ccosa bbona, sí: bbona la bbua.
Si ffussi bbona, er Papa saría er primo
de mette ste carrozze a ccasa sua.
15 novembre 1843
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Versione. Le carrozze a vapore. Quale naturale! Naturale per niente Ma può essere un fatto naturale che un frullone (carrozza chiusa a quattro posti, tipica del seguito dei cardinali, da furlon, prob. spagnolo, secondo il Moroni) voli correndo come se avesse le ali? Qui ci deve essere un patto col diavolo. Dunque ora sarebbe più potente qualche boccale d'acqua che sei cavalli, eh, signor don Paolo? Per me, come la comprendo cosi ve la dico: questa invenzione è un'opera infernale. In tempi in cui si crede poco (diciamo la santa verità) ogni giorno o due ne sentiamo una nuova. Sì, cosa buona, sì, buona la bua (il dolore per i bambini). Se fosse buona il Papa sarebbe il primo a mettere queste carrozze a casa sua.
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Nello stesso giorno 15 novembre l'ispirazione verso la tecnica fa comporre un secondo sonetto, sul barometro, altra diabolica invenzione, questa volta utilizzata da un prete per predire venti e piogge, che fa il paio con quello precedente che coinvolgeva un odiato Cardinale Vicario, Placido Zurla.
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LE FATTUCCHIERÍE
Quant’è vvero, Micchele, che ssò vvivo,
quer prete a mmé mme puzza de stregone:
va in certi loghi e cco ccerte perzone
ch’io nu l’arrivo a intenne, nu l’arrivo.
Tiè un cannello de vetro e argento vivo
attaccat’a un rampino in d’un cantone,
e ’ggni ggiorno sce pijja condizzione
der tempo bbono e dder tempo cattivo.
È ccapasce de divve: «Domatina
vò ttirà vvento, vò ffà ttemporale»;
e ’r pretaccio futtuto sc’indovina.
Abbasta, er zor abbate abbi ggiudizzio,
ch’io nun ce metto né ppepe né ssale
casomai d’accusallo a Ssant’ Uffizzio.
15 novembre 1843
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Versione. Per quanto è vero che sono vivo, Michele, quel prete mi puzza di stregoneria: va in certi posti e con certe persone, che non riesco a capirlo. Ha uno strumento con un tubicino di vetro e mercurio attaccato a un gancio in un angolo, e ogni giorno ne ottiene previsioni sul tempo buono e cattivo. E' capace di dirvi "domattina vuole tirare vento e fare un temporale"; e il pretaccio fottuto ci indovina. Basta, il signor abate abbia giudizio, che io non ci metto niente ad accusarlo casomai al Tribunale del Sant' Uffizio (che giudicava i reati di eresia e stregoneria).
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Non e' un caso che il Belli torni ripetutamente, anche piu' volte, su argomenti che distolgono il poeta dalla descrizione dei quadretti di vita del volgo romano, di critica feroce alle istituzioni papali e al mondo di corruzione e prevaricazione verso i piu' deboli, che ha caratterizzato la produzione degli anni '30.

Gli interessi del poeta stanno cambiando, da vecchio egli ripudiera' la sua produzione in romanesco, ma il distacco e' progessivo e quasi impercettibile, fino al trauma della rivoluzione della Repubblica Romana del 1848, quando il Belli brucio', da vero sanfedista, le copie dei sonetti in suo possesso, mentre i rivoluzionari bruciavano in piazza i confessionali della sua parrocchia. Ma questo è un capitolo della vita del grande poeta. La produzione degli ultimi sonetti del Belli romanesco finisce nel 1847, salvo uno sporadico lamento sulla sua salute, dell'inverno del 49. In questo intervallo di tempo fiorisce e muore infatti l'esperienza della Repubblica Romana di Mazzini e Garibaldi, terminata nell'estate del 1849. Forse involontariamente auspicata con le innumerevoli composizioni di chiara denuncia dell'amministrazione del Papa Re. Ma che lo vide, all'atto pratico, atterrito e silente spettatore.
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IMMAGINI. 1. Carrozza a vapore di Gurney (Inghilterra, 1828). Prestava regolare servizio (dal 1831) e toccava la velocità considerevole di 20 miglia all'ora (circa 32 km/h). 2. Parafulmini ottocenteschi su un tetto. 3. Barometro a mercurio Salmoni (1800 ca).

AGGIORNATO IL 22 MARZO 2015

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