11 maggio 2010

Il culmine dell’eros: “Geltrude tutta sorca, io tutt’uscello”

Si può scrivere un sonetto su due amanti aggrovigliati sul letto? Altroché, la letteratura ne è piena. Poesia, non poesia? Arte o non-arte? Se c’è il sesso di mezzo, il sospetto è che dilemmi del genere vengano in mente solo quando si vuole censurare, cioè vietare anche agli altri ciò che non piace a noi, forse perché risveglia oscuri sensi di colpa.

Ma l’uomo comune che si disinteressa di estetica e d’arte, e alle volte perfino un critico, si pone questo quesito arte-non arte, guarda caso, solo quando un quadro, una foto o un sonetto – come questo famoso del Belli che descrive con somma maestria un raptus erotico, un violento scontro di corpi e di sensi, insomma una "scopata selvaggia" – tocca la realtà d’ogni giorno, cioè la Vita. Mai che si ponga raffinati quesiti del genere quando l’opera d’arte, quasi sempre con esiti sottoculturali e dolciastri, riguarda, che so, la "luna", un "tramonto", un "amore infranto", un "sogno", una "fantasia", o anche una "serenata", un "pianoforte nella notte", una "rosa". Questi, secondo il popolino, sarebbero temi tipici da poesia, mentre gli altri, come quelli legati alle funzioni del corpo, per dirne una, sarebbero tutt’al più indicati per la prosa, e anche la più deteriore.

Insomma, siamo all’ "estetica" della casalinga, alla "critica" dell’impiegato. Che però contano, perché anche i poeti devono vendere e vivere. Senza contare che sul loro "pensiero", non su quello degli intellettuali, si fonda il concetto giuridico di "comune senso del pudore" che in passato, non solo ai tempi dei Papi-re e del Belli, ma anche in democrazia, ha fatto da supporto alla censura.

Molti, quindi, perfino tra commentatori e critici, hanno guardato con sospetto ai tanti sonetti erotici o osceni del Belli, così come a certe liriche o satire di Aretino e Apollinaire, Catullo e Baffo, Verlaine, Porta e infiniti altri. Sfugge all’uomo-massa che l’espressione artistica riguarda, anzi può, deve, riguardare ogni aspetto della vita. Anche quelli che un insopportabile e falsissimo romanticismo deteriore – che sublima la vita in un comodo nulla di vezzi scontati e moine stilizzate – ha deciso che non sarebbero adatti agli "alti sentimenti".

Così non è, invece. L’arte nacque come fotografia della vita, e ha il compito di descrivere la realtà, com’è vista dall’artista, s’intende. E anzi, l’oggetto è secondario, mentre sono il modo, la forma, la musicalità, il ritmo, la pregnanza, la potenza espressiva, la capacità di trasmettere a tutti il messaggio, a distinguere semmai l’arte dalla non arte, la poesia dalla non poesia. La capacità, per dire, di sintetizzare in pochissime parole, altamente pregnanti, cioè cariche di significati e sfumature (ecco l’abilità ulteriore del poeta, sia pure satirico, rispetto al prosatore), i caratteri, le situazioni, i contrasti, i concetti, i sentimenti, che in realtà sono di tutti.

Il Belli, poi, aggiunge di suo alla magistrale descrizione realistica di situazioni e caratteri eterni nell’Uomo, il gusto onomatopeico della parola o delle lunghe sequele di parole. Arte in cui è maestro.
L'incisciature, è fra i primi sonetti scritti a Morrovalle, a casa dell’amica contessa, nel 1831. E’ "uno dei sonetti apparentemente piú spinti", scrive Giorgio Vigolo nel "Saggio sul Belli" in prefazione ai Sonetti. Ma "si vedrà come nonostante lo specifico erotismo dell'argomento, tutto vi si risolva in una risentita orchestrazione verbale col gusto tipicamente belliano per i crescendo ritmici e fonici, i consonantismi, gli elenchi di parole ribattuti e martellanti, nel gusto di un mottetto; come infine questo sonetto valga principalmente, dal primo all'ultimo verso, quale l'onomatopea di un calorosissimo amplesso". A cominciare dall’incipit geniale:

Che sscenufreggi, ssciupi, strusci e ssciatti...

sciolilingua tipico d’un raffinato studioso e ironico cultore della parola, linguista prima ancora che poeta satirico, qual era il Belli:
.
L’INCISCIATURE
Che sscenufreggi, ssciupi, strusci e ssciatti!

Che ssonajjera d’inzeppate a ssecco!
Iggni bbotta peccrisse annava ar lecco:
soffiamio tutt’e dua come ddu’ gatti.
L’occhi invetriti peggio de li matti:
sempre pelo co ppelo, e bbecc’a bbecco.
Viè e nun viení, fà e ppijja, ecco e nnun ecco;
e ddajje, e spiggne, e incarca, e strigni e sbatti.
Un po’ piú che ddurava stamio grassi;
ché ddoppo avé ffinito er giucarello
restassimo intontiti com’e ssassi.
È un gran gusto er fregà! ma ppe ggodello
più a cciccio, ce voria che ddiventassi
Giartruda tutta sorca, io tutt’uscello.
Morrovalle, 17 settembre 1831
Versione. Le scopate. Che esplosione di colpi, strusci e lamenti, che batteria di inzeppate a secco! Ogni botta, per Cristo, andava a segno. Soffiavamo tutti e due come gatti. Gli occhi invetriti peggio dei matti: sempre pelo contro pelo, bocca a bocca. Venire e non venire, fa e piglia, ecco e non ecco; e dagli, e spingi, e incalca, e stringi, e sbatti. Se durava un po’ di più stavamo freschi! Perché dopo aver finito il giochetto restammo immobili come sassi. E’ un gran gusto scopare! Ma per goderlo appieno bisognerebbe che diventassimo, Gertrude mia, tu tutta fica, io tutt’uccello.
Notava il critico Enzo Siciliano: "A Belli piacevano gli elenchi. Elencava nomi, sinonimi: li metteva in fila, ritmandoli in splendidi endecasillabi, disegnandoli nell'arco di un sonetto che – scrisse Gadda – "sgorga di vena e chiude di necessità" (Corriere della Sera, 15 marzo 1984).
C’è grande abilità tecnica, molta erudizione (gli esperti hanno colto varie citazioni di precedenti autori erotici), ma il tutto è servito in questo sonetto con una sintesi geniale, che anzi non ha nessuna di quelle cadute che deludono in una quartina o all’ultima terzina come in altri sonetti. No, questo sonetto è perfetto. Difficile, anche da leggere, come sempre i sonetti belliani: bisogna leggerlo ad alta voce, come facevano gli Antichi, due o tre volte, per apprezzarlo appieno.
Il lettore comune può essere disorientato, avverte il Vigolo: "Certo, di fronte a un innegabile gusto della turpitudine e della enormità della turpitudine che molte volte appaia il Belli a Rabelais o a Marziale, ci si torna a chiedere fin a quale limite il potere di riscatto della parola e del metro possa valere sul lezzo della materia".
"Ora, la risposta a questa dubbiosità (e insieme la piú ampia assolutoria del Belli) – prosegue il Vigolo – è che questo riscatto avviene costantemente, perché anche nella oscenità piú sfrenata non avverti mai il prurito di una immaginazione libidinosa o di una viziosa vogliosità (che il comico stesso basterebbe ad eliminare) ma sempre il genio prepotente della rappresentazione e della parola. Tale genio si manifesta qui nel caratterismo estremo di quella commedia di maschere elementari che sono i simboli sessuali, quasi feticci di una idolatria primordiale, rozzi idoli della fantasia popolare: in essi la parola non si è ancora distaccata dal corpo, e al tempo stesso nei nomi turpi vorrebbe distaccarsene, portando alla espressione "le vergogne" di ciò che non si nomina.
"Il lato geniale dei sonetti del Belli in tale campo è di avere compiuto una esplorazione inedita nel linguaggio di quei simboli, di quegl'idoli, di quei feticci e delle loro affabulazioni piú inverosimili; non solo, ma di avere poi immesso con risultati singolarissimi nel fatto verbale, metrico, plastico quella violenza espressiva, quel continuo abbrivo della parola come scagliata contro il limite della decenza".
"In realtà è proprio in questi sonetti – conclude Vigolo – che il Belli aveva massimamente attuato, nel modo piú totale e originario, la fondamentale aspirazione e ispirazione della sua poesia: la rivolta contro l'ipocrisia del costume, contro il "ceremoniale dell'incivilimento" e il gioioso, a malgrado tutto, panico e salutare ritorno alla Natura"..
IMMAGINE. Bartolomeo Pinelli: una tavola erotica in una raccolta di incisioni poco note.

3 commenti:

Sinibaldi E ha detto...

Evviva, il Belli che va all'inferno... ecco perchè voleva bruciare i sonetti...

Nico Valerio ha detto...

Sinibaldi, veramente non credo che il Belli sarebbe stato condannato a morte - se scoperto - per i suoi sonetti erotici, quanto per alcuni terribili contro il Papa e la stessa religione. Con questi ultimi davvero rischiò molto. Ma ebbe la furbizia di diffondere quelli più leggeri. Solo pochi amici fidati avevano ascoltato quelli osceni. E comunque, fu monsignor Tizzani, futuro vescovo di Terni, a salvarli dal rogo previsto dal testamento... Se l'avesse saputo il Papa, avrebbe scomunicato Tizzani e fatto processare il Belli...:-)

Madama Dorè ha detto...

Musicale questo Belli "osceno"!

 
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