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Jacopo Pilarino, medico e giurista italiano |
Nella Roma papalina del Belli si era contrari o favorevoli al vaccino? Come la pensava la Chiesa, dal Papa fino all’ultimo parroco? E nel Nord Italia, e nell’Europa protestante? Anche su questo tema i Sonetti del Belli ci offrono sorprese. Ne profittiamo per aprirci a un panorama oggi sconosciuto ai più: quello che accadde nella medicina e nella morale tradizionale dell’epoca quando all’espandersi di una cronica e ricorrente pandemia d'una grave infezione da virus che uccideva, anche, e che nei guariti lasciava deturpanti cicatrici, fu scoperta una profilassi rivoluzionaria come il vaccino.
Un dibattito che non si è spento neanche al giorno d’oggi; figuriamoci che cosa poteva succedere in passato, quando anche alcuni intellettuali illuminati, progressisti e amanti della scienza avevano delle perplessità, tanto più nella sonnolenta Roma e nello Stato della Chiesa, per definizione - si ritiene oggi in ambienti laicisti - contrari a ogni novità. Ma andò proprio così?
Partiamo, intanto, dal popolo minuto, da un tipico “romano de Roma”. Il suo parere sul vaccino in un sonetto belliano è deciso, perentorio: è contro Madre Natura.
Ma chi era, chi poteva essere, questo strano “popolano” che, pur analfabeta, socialmente segregato ed escluso da ogni forma di comunicazione "alta", addirittura sapeva un poco di scienza medica e vaccini, tanto da farsene una "idea", sia pure a modo suo, con vari strafalcioni, e comunque poco o nulla si sarebbe interessato al tema? E' chiaro che è un artificio letterario: è tutta farina del sacco del Belli, che anche in altri sonetti, come quello sul parafulmine, mette in bocca al presunto popolano romano "tipico" idee proprie o ricavate dalla società romana più colta.
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Saggio sulla variolizzazione pubblicato dal dr Piralino |
E poi com’è possibile che G.G. Belli che, per quanto cattolico
tradizionalista e impiegato in Vaticano, era pur sempre un lettore avido di
riviste di cultura italiane e straniere, soprattutto francesi, anche
illuministe; uno che a modo suo si dava tono di uomo aggiornato e moderno; uno che
amava la vita e la mentalità di Milano, tanto da desiderarla addirittura come
città ideale in cui vivere (1), fosse
poi contrario all’inoculazione del vaiolo a scopo preventivo, l’unico modo per
salvare - ripetevano medici e intellettuali illuministi - milioni di vite umane e stroncare la terribile epidemia?
Eppure è
quello che sembra, se non vogliamo immaginare almeno una possibile ironia, così
sottile da sconfinare nell’ambiguità più opportunistica (non infrequente nel
Belli), a leggere il sonetto "Er linnesto", in cui l'io narrante parla sì nella lingua
romanesca che è tipica dei poveri e degli ultimi, a differenza dei dialetti; ma con concetti che potrebbero essere d'un tipico piccolo borghese bottegaio, d'un nobile reazionario o piuttosto d'un vecchio monsignore misoneista più papalino del Papa. È del 1834:
ER LINNESTO
Sia bbenedetto li Papa Leoni,
e ssin che cce ne sò, Ddio li conzoli;
c’ha llibberato li nostri fijjoli
da st’innoccolerie de vormijjoni.
Vedi che bell’idee da framasoni
d’attaccajje pe fforza li vaglioli
pe ffajje arisvejjà ll’infantijjoli
e stroppiàcceli poi, come scroppioni!
Iddio scià mmessa la Madre Natura
su st’affari, coll’obbrigo prisciso
de mannà cchi jje pare in zepportura.
Guarda mó, ccazzo!, pe ssarvajje er viso
da du’ tarme, se leva a una cratura
la sorte d’arrobbasse er paradiso.
21 aprile 1834
Versione. L'inoculazione (del vaiolo). Sia benedetto papa Leone, e fin che ce
n’è Dio li consoli: ha liberato i nostri figli da queste inoculazioni dei
virus. Vedi che bell’idea da massoni, attaccargli per forza il vaiolo per far
loro risvegliare le convulsioni e storpiarceli poi come scorpioni! Dio ha affidato
a Madre Natura queste cose, con l’obbligo preciso di mandare chi vuole al
cimitero. E guarda oggi, invece! Per salvargli il viso da due cicatrici si
toglie a una creatura la fortuna di guadagnarsi il Paradiso.
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Jenner vaccina un bambino |
Niente di meno: bambini a cui i medici, per futili motivi estetici (evitargli il volto deturpato) impedirebbero di ammalarsi e anche di morire di vaiolo, e perciò, innocenti come sono, di andare in Paradiso! Solo la mente malata di preti ottusi o teologi fanatici, che pure non sono mancati nella Chiesa Cattolica, come oggi nell'Islam e in qualsiasi ambiente passatista, potrebbe concepire un ragionamento del genere.
Ma era un quadro reale, storico? No, come vedremo. E detto dal Belli che cos'è? Cinismo
senza pari o satira crudelissima? O un po’ dell’uno e dell’altra? Certo, il
Belli, impiegato in Vaticano, orecchiava battute e bisbigli malevoli di
bibliotecari, laici ed ecclesiastici, che poi riutilizzava a piacimento ora qua ora là. Ma la famosa doppiezza ideologica del Belli ci ha abituato a tutto, e perciò per capire come fosse accolta realmente la nuova tecnica della vaccinazione bisogna sospendere il
giudizio, ragionare e calarsi nel suo tempo e in quello immediatamente
precedente leggendo cronache e documenti storici. Le sorprese non mancheranno.
L'inoculazione o "innesto" a dosi ridottissime del vaiolo, allora umano perché preso dalle pustole dei malati leggeri o in via di guarigione ("variolizzazione"), allo scopo di prevenire una malattia devastante, è patrocinata da
grandi intellettuali milanesi di prestigio, tra i quali il Beccaria, il Verri,
che la definisce “pratica vantaggiosissima” (2), e il collega poeta satirico Parini, insieme cattolicissimo (abate) e illuminista, che in una prolissa e illeggibile ode L’innesto
(1765) critica il fatalismo e la mancanza di prevenzione di chi ritiene questo come ogni male ineluttabile: «Oh, debil arte, oh mal secura scorta / che il mal
attendi e no’l previeni accorta».
Ma l'innesto del vaiolo è voluto perfino dal Capo della Chiesa in persona,
Prospero Lambertini, l’illuminista e riformatore papa Benedetto XIV, che ha
tutto il tempo – morirà nel 1758 – di prender parte con posizione favorevole ma
prudente alla grande disputa sull’inoculazione che proprio in quegli anni
infiamma l’Europa e soprattutto l’Italia. Sul tema personalmente segue il suo
teologo di fiducia, il grande illuminista cattolico Ludovico Antonio Muratori. Ma
i tempi – dice – non sono ancora maturi, e per far accettare questo
“preservativo” bisognerà aspettare più d’un papa. I papi sono gli ultimi a
dover innovare in queste cose. «Se io fossi imperatore o re – scrive papa Benedetto
XIV al medico Bianchi, capofila dei cattolici anti-vaccino – l’inoculazione, in
vista de’ vantaggi che vi scorgo, sarebbe ormai ammessa ne’ miei Stati. Ma non
voglio scandolezzare li timidi e li deboli». E' la nuova impostazione illuministica, o non piuttosto la vecchia cattolica-gesuitica?
In ogni caso, tornando al sonetto del Belli, che cosa pretende, quasi un secolo
dopo, quel popolano ottuso, anzi quel piccolo borghese o ecclesiastico oscurantista che si cela dietro la satira del Belli? Perché essere più papalini del Papa?
Certo, la Chiesa è divisa e incerta. I Gesuiti, sempre attenti alla scienza,
recensiscono con favore la relazione dell'italiano Jacopo Pilarino, il primo medico al Mondo che pratica (1701), studia e pubblica in una relazione scientifica (1715) il metodo dell'inoculazione (v. oltre). Immediatamente i padri della Compagnia, proprio nel 1715, cominciano a
sperimentare l'inoculazione sugli indigeni delle loro missioni in America del Sud. Anzi, poiché
l'innesto del vaiolo viene dall’Oriente, fanno dell’ironia sui cattolici
anti-innesto: «Sembra quasi che temano che col vaiolo sia inoculato anche l’islamismo!».
Ma quando Voltaire (L’inoculazione del vaiolo, in "Lettere filosofiche", 1734)
loda l’innesto come cosa “inglese”, anche se stravede per papa Benedetto XIV, si
fanno più prudenti. Ai fatalisti cristiani della predestinazione gli scienziati
obiettano, come il filo-inoculista C. de la Condamine: «Ma si potrebbe
rispondere anche che chi è inoculato era predestinato alla inoculazione!»
(1754). I Gesuiti approvano, ma poi si ritirano dal dibattito: troppo spinoso e imbarazzante trovarsi dalla parte del mangia-preti Voltaire.
Voltaire denuncia l’oscurantismo del
clero e di una parte dei medici. Perché lo Stato – lamenta – aspetta il loro beneplacito?
Non è forse chiaro ormai che l’esperienza inglese è positiva? ("inglese", per la propaganda iniziata a Londra da lady Montagu, attivissima moglie dell'ambasciatore inglese a Costantinopoli, convinta dal metodo del medico italiano J. Pilarino già detto, collaboratore dell'Ambasciata). Voltaire crede di sapere
perché i preti sono contro l’inoculazione: per pregiudizi teologici senza
senso, e perché è una pratica che proviene dagli “infedeli”, come sosteneva il cappellano
di lady Montagu (che però - aggiungiamo noi - non era riuscito a impedire l’inoculazione del di lei
figlio da parte del dottor Pilarino!). Iinsomma, una pratica non cristiana che “può avere successo solo tra
gli islamici”.
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Monaldo Leopardi da giovane |
È contraria buona parte del clero di base e del popolo,
perfino in Francia che, se esiste uno "spirito dei popoli", è più razionalista e laicista dell’Italia. L’abate Jacquin in una "Lettera sull’inoculazione" si dice del tutto contrario non solo all’innesto, ma
anche a qualsiasi forma di prevenzione della malattia. Il cancelliere Ètienne-Dénis Pasquier denuncia:
preti e popolo devoto sono convinti addirittura che “somministrare a un essere umano una
malattia che forse non gli verrebbe naturalmente, significa tentare Dio”. Una nuova
forma di superstizione, insomma. I parroci bretoni
riuniti in assemblea parlano di “crimine contro la legge divina”. Anche medici
cattolici, come Philippe Hecquet che nelle "Ragioni per dubitare
dell’inoculazione" (1722) sostiene che è una pratica riprovevole, contraria al
potere divino, che non ha nulla di medico e somiglia alla magia.
Ma il vescovo anglicano di Worcester nel
1752 si dichiara favorevole all'innesto, suscitando scalpore. Nella stessa Roma cattolica e
papalina non solo alcuni medici sono favorevoli (1754), ma il teologo
agostiniano Gian Lorenzo Berti nel 1762, con altri due dotti teologi toscani, Francesco
R. Adami e Gaetano Veraci, pubblica a Milano l’opuscolo "Tre consulti", un importante
documento etico in difesa dell'inoculazione. Perfino i reazionari preti
ortodossi in Grecia, riferisce lady Montagu, hanno “cristianizzato” l’innesto dando
alla disordinata serie di punture sulla pelle la forma di una croce.
L’intera Chiesa in sostanza, divisa tra
i no e i sì accesi, sembra sospendere il giudizio, resta in attesa dell’evoluzione
scientifica per tutto il secolo XVIII. Il che è una grande novità: sembra quasi
che si appresti a riconoscere per la prima volta libertà di dibattito e una certa autonomia della ricerca scientifica. (3)
Ma intanto siamo ormai in pieno Ottocento, e mentre il Belli
copre con un velo indecifrabile, con la solita scusa d'un popolano immaginario, il proprio vero pensiero per mettere d’accordo
la propria natura irrispettosa e laicisteggiante, il proprio io profondo ultra-cattolico e i monsignori di Curia che gli danno lo
stipendio, alcuni medici filantropi, in quella Lombardia ch’egli tanto ammirava, già
da decenni si sforzano di convincere all’inoculazione preventiva il popolo ignorante
e diffidente messo in guardia da preti e medici all’antica.
La differenza è che nell'Ottocento, diversamente dai tempi di papa Lambertini, i medici aggiornati
usano il nuovo metodo dell’inglese Edoardo Jenner, medico rurale che nel 1796 aveva superato la variolizzazione e dimostrato che era più
sicura, facile e riproducibile l’inoculazione d'un siero "mediato" dagli animali che offre un virus diverso e molto meno aggressivo, praticamente innocuo per l'uomo, il vaiolo della "vacca" (parola latina per "femmina di Bos taurus", presente in tutti i vocabolari latini usati allora dai medici), da cui i neologismi
“vaccino” e “vaccinazione” tuttora usati anche se i moderni vaccini non si ricavano più dalla vacca. Ma Jenner, sia chiaro, arriva quasi un secolo dopo i due misconosciuti medici
italiani che già agli anizi del Settecento avevano diffuso in Occidente la variolizzazione, cioè la prima vaccinazione, da uomo a uomo.
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Benedetto XIV |
La variolizzazione, praticata da secoli in Africa e Oriente almeno dal 1000 d.C. e, chissà, forse nota anche ai nostri intelligenti e già globalizzati Antenati, altro non era che l'immunizzazione dal vaiolo ottenuta aspirando col naso polveri ricavate da croste vaiolose di malati leggeri, o più efficacemente graffiando o pungendo la pelle con pennini sporcati di pustole.
E' riportata in auge in Europa da due medici italiani, sudditi di Venezia perché nati nell'isola veneziana di Cefalonia da padri italiani e laureati a Padova, ma che vivono a Costantinopoli e lavorano anche per l'ambasciata inglese, il medico e giurista Jacopo Pilarino, che dopo aver a lungo osservato una “mammana” greca che opera in
città, effettua la sua prima variolizzazione standardizzata nel 1701, e il suo allievo Emanuele Timoni. L'intraprendente Lady Montagu, consorte dell'ambasciatore, li fa conoscere a Londra e quindi all'Europa. E per le cronache degli Inglesi, nazionalisti a sproposito, ancor oggi, è lei, nientemeno, l'artefice della diffusione della variolizzazione, neanche si fosse trattata di una biologa sperimentatrice. Perfino un'inchiesta di "Nature", ancor oggi, cita solo il suo abusatissimo nome e tace quelli dei medici italiani. E invece è il dottor Pilarino ad averla convinta a immunizzare i figli. Infatti, è il medico-giurista italiano a pubblicare in latino la prima relazione scientifica sul tema ("Nova et tuta variolas excitandi per transplantationem methodus nuper inventa est in usum tracta". Venezia, Hertz, 1715), ovvero "Metodo per ottenere nuovi e sicuri vaioli per trapianto” (v. immagine della copertina qui in alto). I due precursori italiani sono per di più passati alla Storia erroneamente come "greci" perché oggi Cefalonia fa parte della Grecia, mentre il metodo - così equivoca anche Voltaire - sarebbe "inglese". Se ancor oggi la comunicazione mistifica, figuriamoci a quei tempi! Così, nel corso del Settecento in tutta Europa intellettuali, diplomatici e perfino Case regnanti al completo (inglese, francese, russa ecc.) si fanno variolizzare col metodo studiato e praticato da Pilarino-Timoni.
Ma col vaccino moderno, cioè col virus preso dalle vacche e non più dall'uomo, le reazioni dei tradizionalisti si esacerbano ancora di più. Sangue di animali mischiato a quello
degli uomini? Ohibò! “Bestialità” la definiscono alcuni filosofi moralisti
laici. Così si va a intaccare la “sacralità” dell’Uomo, lamentano alcuni
teologi. Insomma, aumenta la diffidenza di intellettuali, medici, preti e popolo, che ora non è più solo il popolino analfabeta ed emarginato del Belli, ma ormai comprende tutta la borghesia attiva e perfino abbiente. In
Italia, se ne lamentano il medico Tommasini, responsabile
per le vaccinazioni a Bologna e quindi suddito del Papa, e soprattutto il grande medico filantropo Luigi
Sacco che a Milano e in tutta la Repubblica Cisalpina dall’anno 1800 al 1810
vaccina di persona e gratuitamente circa 500 mila bambini e adulti (una media
di ben 136 al giorno, a quei tempi!), oltre a 900 mila vaccinati dai suoi collaboratori,
nella più massiccia campagna di vaccinazione mai effettuata in Europa (4).
E il
numero dei vaiolosi a Milano e in Emilia, per la prima volta nella Storia
crolla. Del resto l’eradicazione completa, mondiale, del vaiolo, portata a
termine solo nel 1980, è stata la più grande vittoria della storia della
medicina, grazie al vaccino anti-vaiolo, scrive l’Istituto Superiore di Sanità.
Inevitabile, di fronte all’evidenza di migliaia
di vite umane salvate, che il vaccino s’imponga anche nella Chiesa, anche se ancora non nel
basso clero. Del resto, il paradosso è che in Italia la campagna di vaccinazione anti-vaiolo era iniziata
agli inizi dell’Ottocento in modo sperimentale proprio in casa ultra-cattolica.
Il poeta Giacomo Leopardi era stato tra i primi a essere vaccinato nelle Marche
per iniziativa del padre Monaldo, famoso cattolico intransigente ascoltatissimo a
Roma e sindaco ultra-papalino di Recanati, eppure convintissimo propagandista
del vaccino, che finì poi per imporre nella propria città e nelle Marche.
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Gregorio XVI |
Eppure, il Belli, torniamo al suo contestato sonetto, è contrarissimo all’innesto, e lo sarebbe stato ancor di più al vaccino di Jenner. Anzi, no,
si vergogna di apparire passatista e perciò si nasconde dietro la satira
attribuendo le proprie opinione, che ritiene forse irriferibili a proprio nome nei suoi scritti tramandati in prosa, a un popolano anonimo degno d'un sonetto satirico. Anzi, no,
in realtà prende in giro a suon di paroloni e frasi fatte un qualche monsignore anziano che può aver conosciuto come funzionario dell'Ufficio Censura o Direttore della Biclioteca Vaticana. Non si sa. Ma c’è anche una terza ipotesi,
per noi molto più fondata, che ha a che fare con la psicologia, con la figura
del nuovo papa Leone e con gli equilibri politici della Chiesa scaturiti da un
Conclave drammatico. Può essere, cioè, quella del Belli, una posizione "politica".
Nel Conclave del 1823 al Quirinale il favorito card. Severoli del
partito degli “zelanti”, rigoristi intransigenti fautori di una restaurazione
religiosa della società e della riaffermazione identitaria della Chiesa dopo il
“turbine laicista napoleonico”, arriva a soli sette voti dall’elezione; ma è
bloccato dal colpo di scena del veto (jus exclusivae) dell’Austria. L’altro
partito è quello dei moderati favorevoli al riformismo del Segretario di
Stato di Pio VII card.Consalvi. Il giorno dopo è la Francia a porre il veto a
qualsiasi candidato degli zelanti: si sa che vorrebbe il Somaglia,
che si era definito durante l’occupazione napoleonica “cittadino Somaglia”. Un
“papa giacobino” allarma tutti, zelanti e moderati. Serve una mediazione. Ed
ecco sorgere dal nulla la candidatura del card. Annibale della Genga, vecchio,
malato e cadente, quindi – pensano tutti – destinato a durare poco. Ripiego che
mette tutti d’accordo, in quanto Genga è “zelantissimo”, reazionario e amico di
Germania e Austria, ma è eletto papa come male minore con i voti determinanti del
Consalvi, dopo che si è dissolta la candidatura del candidato moderato, il
Castiglioni. Prende il nome di Leone XII.
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Pio IX |
«Avete eletto un cadavere» dirà appena
eletto. Molto malandato, fa sperare i cardinali in una rapida dipartita; ma poi
una volta Papa, forse con l'aiuto dello Spirito Santo, rifiorisce come per miracolo. Tiene fede, invece,
all’aspettativa della corrente intransigente, anti-francese e anti-liberale che
voleva una radicale restaurazione dei valori religiosi e spirituali nel già
bigotto Stato della Chiesa, a suo dire troppo secolarizzato.
Ed è realmente uno dei Papi più moralisti e intolleranti - accusano i liberali italiani - della
Storia moderna, capace in soli sei anni di pontificato, dal 1823 al 1829, di
arrecare tanti mali alla libertà e dignità degli uomini, e forse anche alla
stessa Chiesa, imponendo con spietatezza il rigore della religione e di una
morale cattolica ortodossa con la stessa forza che i sudditi romani gli avevano
visto esercitare come terribile Cardinal Vicario dal 1820.
Gli Inglesi, da sempre anti-papisti, sparano a zero. Ma stavolta cadono anche in un piccolo errore che qui ci interessa: la vaccinazione. «Fu un fanatico feroce", scrive Georgina Sarah Godkin, "il cui scopo era distruggere tutti i
miglioramenti dei tempi moderni e sottomettere il popolo agli usi, alle idee e
al governo di un’epoca medievale. Nella sua insensata rabbia contro il progresso
vietò la vaccinazione. Di conseguenza il vaiolo durante il suo regno devastò le
province romane, insieme a molte altre sventure che la sua brutale ignoranza
portò agli abitanti di quelle belle e fertili regioni». È questo il ritratto a
forti tinte e con una grave affermazione sbagliata (il "divieto" di vaccinazione) che fa del Papa suo contemporaneo Annibale della Genga, la
storica inglese Godkin, che conobbe da vicino e apprezzò il
Risorgimento italiano, nel suo "Vita di Vittorio Emanuele II".
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Leone XII |
Leone XII Della Genga instaura in effetti un vero Stato di Polizia col dominio illimitato e
quotidiano di parroci e vescovi; obbligando il popolo – sotto le più
gravi pene – a catechismo, messe, precetto, missioni; trasformando Roma in un
teatro a cielo aperto di processioni, penitenze, litanie, rosari pubblici,
funzioni religiose continue; controllando tutti con lo spionaggio e favorendo
la delazione; condannando a morte senza processo sia i criminali sia i
liberali, esibendo in pubblico torture, tratti di corda e patibolo,
perseguitando e umiliando gli Ebrei della fiorente Comunità romana e
costringendone molti a emigrare al Nord. E di altro ancora fu capace,
anche di ridicolo. P.es, per rinverdire la sua giovanile passione per la
caccia, lui così debole e ascetico, non esitava a scandalizzare i cardinali
sparando agli uccelli nei Giardini Vaticani. Tra i popolani restò famoso anche
per il suo insensato ordine di chiudere le osterie, “luoghi di
perdizione” (si veda il sonetto di Belli sui
cancelletti del 1831). Con la conseguenza che i bevitori dovevano acquistare la tradizionale "fojetta" di vino attraverso le grate e bere in strada, con uno spettacolo ancor più degradante,
analogo a quello che oggi deturpa il Centro storico e turistico di Roma, noto come
“triangolo delle bevute”.
Ma la falsa colpa che qui ci interessa di più, attribuitagli
per prima dalla Godkin e tramandata “tradizionalmente” fino a oggi, è stata
quella che Leone XII avrebbe vietato la vaccinazione anti-vaiolosa. Ancora nel
gennaio 1986 (quando l’OMS – si badi – è ancora impegnata a vaccinare mezzo Mondo
per sconfiggere epidemie virali che mietono milioni di vite umane), una
conferenza ad Albany (New York) del prof. D. Maguire, che evocava ancora una
volta questa opposizione della Chiesa ottocentesca al vaccino, ha avuto il potere di scandalizzare: «Chiunque si fa vaccinare cessa di
essere figlio di Dio», dice il conferenziere riportando presunte “parole di
Leone XII. Perché in fondo «Il vaiolo è un giudizio di Dio. La vaccinazione è una sfida al
Paradiso». Parole che Papa della Genga avrebbe pronunciato nel 1829, l’anno stesso della
sua morte. Ebbene, questa condanna senza appello dei vaccini da parte della
Chiesa dopo 150 anni continua ancor oggi a essere citata su giornali e siti internet.
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Vaccinazione in Campidoglio |
Eppure, per quante ricerche siano state fatte, sia da studiosi ecclesiastici (5) sia laici, sia difensori della Chiesa, sia nemici acerrimi, mai nulla è stato trovato che si possa attribuire a dichiarazioni scritte o orali di papa Leone in questi termini o analoghi sui vaccini. Del resto l’inesistente non può essere provato: deve esser cura di chi afferma qualcosa provarlo; e mai questo è stato fatto. Tutti gli autori dell’attribuita citazione si citano l’un altro, senza mai arrivare a una fonte certa primaria.
Così degli innumerevoli testi che attribuiscono a Leone XII il divieto di vaccinazione contro il vaiolo – ha
dimostrato il gesuita ricercatore americano DJ. Keefe (6) nessun documento ufficiale o ufficioso, e neanche una qualsivoglia testimonianza di terzi o indiscrezione documentata, riporta tali affermazioni.
Sia chiaro, vista la sua mentalità integralista, non possiamo escludere in teoria che papa Leone possa aver pensato o perfino pronunciato le parole citate da Maguire nella conferenza, magari in privato, da monsignore o cardinale (come Papa è più improbabile: sarebbe stata indiscrezione troppo ghiotta per chiunque, per tacerla). Ma non risulta da nessun testo. E sì che una personalità così decisa e priva di rispetto umano non avrebbe certo avuto scrupoli per dire chiaramente 'no' all'inoculazione e al vaccino, come non ne aveva avuti per decidere e attuare con piglio decisionista tutti quegli altri provvedimenti da fanatico fondamentalista e anti-liberale di cui ebbe a lamentarsi non solo la storica inglese, ma soprattutto il popolo di Roma, fin da quando il card. Genga era Vicario..
Quel che è certo, invece, è che papa Leone, pur potendolo fare, non ha detto in pubblico o scritto o, quel che è ancora più importante, fatto nulla di concreto per vietare la vaccinazione; ma si è limitato ad abrogarne nel 1824 l'obbligatorietà, probabilmente per le lagnanze già dette di basso clero e popolo (non più dei medici, ormai, da quando l’inoculazione del vaiolo umano era stata sostituita dal più sicuro vaccino), fasce sociali più facilmente succubi delle dicerie sulla sua pericolosità.
Ma come, la vaccinazione era ormai obbligatoria nei domini della Chiesa? Sicuro. Il vaccino era stato reso obbligatorio nello Stato Pontificio nel giugno 1822, dopo due anni dallo scoppio dell’ennesima epidemia di vaiolo, da papa Pio VII, Barnaba Niccolò Chiaramonti, probabilmente per le pressioni o il parere, ascoltatissimo, dell'influente conte Monaldo Leopardi, Gonfaloniere di Recanati, padre del poeta Giacomo.
Del resto, anche agli increduli americani la Circolare Legatizia di papa Leone XII del 15 settembre 1824 dovrebbe parlare chiaro: «Rimane obbligo a Medici e Chirurgi condotti di eseguirla gratuitamente [la vaccinazione antivaiolosa, NdR], a quanti vogliano prevalersene, essendo questa la cura ed il preservativo di una malattia alla quale, come a tutte le altre, essi hanno l'obbligo di riparare». Con ciò l'affermazione della storica inglese Godkin che quel Papa aveva vietato la vaccinazione viene smentita in pieno da un documento scritto pubblico del Papa stesso.
Anzi - in cauda venenum - c'è una curiosa coda in quest'ultima frase che se papa Leone fosse stato davvero forsennatamente anti-vaccino non avrebbe certo aggiunto. Perché infatti attribuire ai medici "l'obbligo di riparare" questa malattia pur "data da Dio", come dicevano preti e teologi anti-inoculazioni, riconoscendo pure al vaccino di essere "la cura ed il preservativo", a questo punto unici? Verrebbe quasi da pensare che papa Leone nel suo provvedimento si sia in realtà barcamenato, abbia come mediato diplomaticamente tra due posizioni presenti nella Chiesa. Ma certo, se l'analisi logica non è un'opinione, l'ultima frase tradisce addirittura una sua posizione favorevole.
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Propaganda anti-vaccino, Inghilterra |
Vero è che, come lamentano il Tommasini (7) e altri medici, questa “libertà di vaccinazione” instaurata da papa Genga porta a trascurare la pratica sanitaria, e questo lassismo generalizzato ha conseguenze epidemiologiche immediate. La successiva epidemia del 1828, solo nella città di Bologna causa 553 morti, e molte altre vittime fa una terza epidemia nel 1835. Quindi le conseguenze negative della Circolare di Leone XII ci sono, è innegabile. Ma non per un “divieto” come dice la leggenda, bensì per il ritorno alla “libertà di vaccinazione”. “Libertà” e non “obbligo”, del resto, che era vigente in molti Stati d’Europa, compresa la Gran Bretagna. Nel Regno di Sardegna la vaccinazione antivaiolosa diventa obbligatoria solo nel 1859.
Morto papa Leone XII, le campagne a favore della vaccinazione riprendono anche nello Stato della Chiesa, e Pio IX affida al Comune di Roma un vasto programma di vaccinazione di massa. Non solo gratuita, ma anzi - come si legge in un manifesto del 1848 qui riprodotto - se i vaccinati tornano otto giorni dopo dal medico che li ha vaccinati in Campidoglio mostrando l'esito favorevole, sono "premiati" con ben 2 paoli.
Quello che conta è la realtà storica. Cioè
che le vaccinazioni pubbliche, gratuite, continuarono – solo per chi lo
richiedeva, però – come prima, cioè gratis, anche sotto papa Leone. Soltanto,
non erano più obbligatorie. E il Belli lo sa, perché lo ammette egli stesso in
nota. Quindi il suo sonetto "Er linnesto" è capzioso e malizioso, come in fondo deve o può essere un sonetto satirico.
Due note di pugno del Belli ci
sono un poco d’aiuto. Nella prima, la tesi che il “vaccino ruba il Paradiso ai
bambini” e che effettivamente suona d’un cinismo senza pari, è attribuita dal
Belli in nota, come per scusarsi, a un consulente teologico d’eccellenza del Papa: «Massima
favorita della Ch. M. del Cardinale Severoli, tenuto da Leone
XII per l’oracolo dello Spirito Santo». Qui l’ironia satirica serve a denotare
il distacco del Belli, "Dottor Jekyll e Mr Hide", da questo personaggio portato in palmo di mano dal
pontefice per i motivi già detti legati al Conclave.
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Cartolina anti-vaccino, Inghilterra |
In una seconda e più importante nota,
trasandata come un appunto e ambigua (come non solo alcuni versi, ma anche
molte prose nel Belli), leggiamo: «Il vajuolo arabo. Si allude all’abolizione
fatta da Leone XII dell’istituto di vaccinazione ecc., ed allo scioglimento de’
sudditi della Chiesa dall’obbligo di esibirgli i loro figliuoli». Insomma,
nella stessa riga prima si parla di “abolizione della vaccinazione”, poi
malamente, senza un “cioè” o un “in realtà”, ma solo con un’insufficiente “ed”
di collegamento, di sudditi esentati dall’obbligo di consegnare i figli ai
medici per la vaccinazione. Bisogna ragionare per arguire che “sciogliere
dall’obbligo” è cosa diversa che “vietare”.
Ma se il Belli sa che il vaccino
anti-vaiolo non è stato vietato dallo scomparso papa Leone, ma solo reso non
più obbligatorio ma volontario, pur continuando a essere gratuito, allora
perché imbastisce questa epocale contrapposizione nostalgica (“Guarda mó,
ccazzo!” ecc.)? Che senso ha, ben cinque anni dopo la morte di Leone XII,
vestire i panni del tipico piccolo borghese, quale del resto il Belli è (perché
è da escludere che il tipico “popolano belliano”, s’interessasse di problemi
teologici collegati al vaccino), per ricordare i bei tempi andati, cioè il
1823-1826, del rigore etico cattolico (rigore per modo di dire, però, visto che
il vaccino non viene affatto vietato), mentre “oggi”, cioè il 1834, l’anno in
cui il Belli scrive il sonetto sotto il papato di Gregorio XVI, le vaccinazioni
sono non solo permesse come prima, ma ormai incentivate e rese di nuovo obbligatorie,
dando credito alla balzana idea scientista, liberale, giacobina (“framasoni”)
d’iniettare i microbi nei bambini solo per evitargli le banali pustole sul
viso, ma in realtà rubandogli, niente di meno, il meritato Paradiso?
Smontato il marchingegno retorico
belliano, è chiaro a questo punto a che cosa mira il sonetto "Er linnesto": si
tratta d’una satira indiretta architettata contro il pontefice regnante nel
‘34, quel disistimatissimo (dal Belli) Gregorio XVI Cappellari che sul trono
resta dal 1831 al 1846, quindici anni fondamentali per la satira del Belli che
coprono in pratica tutto l’arco più creativo della produzione dei Sonetti. E
oltre sessanta tra i sonetti, con le critiche più disparate, sono riservati a
papa Gregorio, considerato dall’autore imbelle, acquiescente, buono a nulla,
vizioso, mangione, dilapidatore e così via. “A Papa Gregorio je volevo bene,
perché me dava er gusto de potenne di’ male", scriverà in un appunto
trovato fra le sue carte.
Insomma, nel sonetto "Er linnesto" il
Belli, nelle vesti nell’improbabile popolano diffidente di fronte a ogni novità, sia pure con
qualche ironia che si risolve in una serie di paroloni e in uno sproloquio
pseudo-scientifico tipico della cinica e ignorante piccola borghesia romana, pur di dare addosso a
papa Gregorio, vivo e vegeto ma debole, incapace e schiavo dei bagordi,
distorce volutamente la vicenda del vaccino, costringendosi a fare il
nostalgico d’un defunto Papa Leone XII, severissimo e tutto d’un pezzo, che ai
suoi occhi aveva avuto il merito di aver moralizzato lo Stato della Chiesa e
magari messo a posto i Cardinali e la Curia corrotta. Che ora, si sa, «come li
sorci cuann’è mmorto er gatto, je fanno su la panza un minuetto» ( ), perché –
dice il proverbio – quando il gatto non c’è, i topi ballano:
PAPA LEONE
Prima che Ppapa Ggenga annassi sotto
a ddiventà cquattr’ossa de presciutto,
se sentiva aripète da pertutto
ch’era mejjo pe nnoi che un ternallotto.
Cquer che fasceva lui ggnente era bbrutto,
cuer che ddisceva lui tutto era dotto:
e ’gni nimmico suo era un frabbutto,
un giacubbino, un ladro, un galeotto.
Ma appena che ccrepò, tutt’in un tratto
addiventò cquer Papa bbenedetto
un zomaro, un vorpone, un cazzomatto.
E accusí jj’è ssuccesso ar poveretto,
come li sorci cuann’è mmorto er gatto
je fanno su la panza un minuetto.
25 novembre 1832
Versione. Papa Leone. Prima che papa Genga andasse sotto terra
per diventare quattro ossa di prosciutto, si sentiva ripetere dappertutto che
era per noi meglio d’un terno al lotto [cioè, il suo pontificato era per i
sudditi la più grande fortuna possibile]. Nulla di quello che faceva lui era
cattivo; tutto quello che diceva era dotto [giusto], ogni suo nemico era un
farabutto, un giacobino, un ladro, un galeotto. Ma non appena morì,
all’improvviso quel Papa benedetto diventò un asino, un volpone, uno scimunito.
E al poveretto è successo proprio quello che succede quando muore un gatto: i
topi sulla sua pancia ballano il minuetto.
Un
sonetto minore, certo, e imprevedibile, che anziché mettere in luce
l’impopolarità di Leone XII o almeno qualcosa della sua patologica personalità,
lo fa apparire quasi un improbabile vendicatore della Virtù, un giustiziere
della Curia corrotta che, morto lui, ora può riprendere i suoi stravizi e privilegi.
Ma il popolino, che ha da festeggiare? Nulla. Papa Leone non
doveva aver lasciato un ottimo ricordo nella Roma minuta tiranneggiata da parroci e frati oltre ogni soglia di sopportazione, come nella Curia e tra i Cardinali
(i “topi”). Quindi il “rimpianto” per Leone del sonetto "Er Linnesto" è solo strumentale:
serve solo a colpire con un’ennesima nuova arma, il vaccino, l’odiato papa Gregorio.
Insomma, non esiste riabilitazione possibile per Leone XII. La
Storia, che è sempre storia di libertà, sarà sempre impietosa verso di lui,
nonostante il comprensibile e umano tentativo di una sua colta discendente di
dipingerlo in modo più accattivante in un recente
convegno finanziato
dalla Regione Marche. Ma, almeno, l’obiettività storica (non esiste libertà
senza onestà e verità) gli deve far grazia di un ulteriore “peccato mortale”,
derubricandolo a “peccato veniale”: il presunto “divieto del vaccino” contro il
vaiolo.
Per concludere, papa della Genga, contro un radicato (anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti !) luogo comune
popolare alimentato, com’è umano e comprensibile – dalla sua figura
reazionaria e integralista, non vietò la vaccinazione, come riporta per
equivoco la scrittrice inglese risorgimentale innescando una leggenda che dura
tuttora, specialmente nel mondo anglosassone. Si limitò, invece, sbagliando –
come spiegò, prudentemente dopo la morte del Papa, in una Relazione
scientifica del 1836, il suo suddito prof. Giacomo Tommasini, medico capo della
Commissione delle Vaccinazioni di Bologna (6) – ad abrogare con la
Circolare pontificia del 15 settembre 1824 la precedente decisione del precedente papa Pio VII che aveva reso obbligatorio il vaccino
contro il vaiolo, a cominciare dai bambini più piccoli. E anche il Belli, che
pure nel sonetto fa il “finto tonto” lo sa benissimo, se in una nota di suo
pugno al sonetto "Er linnesto" parla di «scioglimento de’ sudditi della Chiesa dall’obbligo»
della vaccinazione, e non di divieto della stessa.
NICO VALERIO
NOTE