2 novembre 2015

Un buon uomo per la Chiesa è un baciapile bigotto e ipocrita, o no?

Dopo tanto Vangelo, tanta predicazione di eroica bontà e altruismo, tanto catechismo, tanti mirabili esempi di vite di Santi e Vergini e Martiri sbandierati nelle storie, tante leggende edificanti, qual è alla fin fine, nella pratica quotidiana, il comportamento minimo sufficiente che la Chiesa richiede ai suoi fedeli per definirli “buoni cristiani” o, che è lo stesso, per la morale cattolica, addirittura onesti uomini, brave persone?
      È ben poca cosa, dice il Belli in due sonetti profondamente graffianti, con cui sembra adattare al carattere romano il rigorismo morale dei Protestanti che aveva dato origine alla Riforma. Tutto si risolve in una prosaica serie di comportamenti esteriori, di banali formalità, che ricordano le regolette per i bambini negli asili delle suore o le abitudini ossessive delle vecchie beghine (“pizzochere”, “bizzochere” o “bizzoche”), come tenere sempre il rosario in tasca, biascicare litanie anche nei momenti meno opportuni, salire in ginocchio la Scala Santa, e così via.
      Certo, fondamentali sono farsi il segno della croce (meglio se intingendo le dita nell’acquasantiera in capo al letto, come fanno i bambini, i malati e gli anziani), segnarsi o togliersi il cappello davanti a una chiesa o alle edicole delle “madonnine” votive ai cantoni dei palazzi, ovviamente andare a Messa, confessarsi e frequentare le altre funzioni religiose il più spesso possibile. Almeno a Pasqua, sappiamo. Anche se l’espressione “fare il precetto” sembra diventata anche nel nome una sorta di obbligo mal sopportato, quasi una punizione da servizio militare. E allora, altro che poco: sembra troppo. Ma in cambio, effettuato il precetto, il parroco rilascia un biglietto che è in pratica un "attestato di buon cristiano". Peccato, però, che alcuni sacrestani corrotti lo vendono sottobanco a ricchi e a gente di malaffare che neanche a Pasqua mettono piede in chiesa.
      Resta, come tipico tratto della “buona pratica cattolica”, la devozione esibita in pubblico, il formalismo dei riti, l’adorazione del Papa e delle immagini dei Santi e della Madonna, l’ipocrisia delle giaculatorie recitate meccanicamente senza sentirle come proprie e spesso senza neanche capirle, magari nel “latinorum” deformato dal romanesco, che piace tanto al popolino più ignorante per la sua carica un po’ minacciosa di fascino e mistero (e su cui il Belli intinge golosamente il pane dell’ironia in numerosi sonetti). Insomma, i doveri e i divieti, quelli sensati e quelli più astrusi, sembrano osservati per mero conformismo, come se si trattasse d’una serie di esercizi fisici da superare in una sorta di decatlon della “morale” ostentata”. La religione – è il rischio, ma anche la denuncia – vista come un quotidiano tour de force di abilità, un prontuario di gesti e privazioni psichiche e corporali che poco o nulla ha di spirituale.
      E le “opere di bene”? Non ci sono. Al massimo, la corvée della confraternita (la Missione) che si risolve, però, in ulteriore auto-referenziale proselitismo ed esteriorità (spesso in “maschera”: tuniche, sacconi, corde alla cintura), con processioni, recite di preghiere, rosari collettivi ecc.
      Il cattolico tipo appare al Belli, perciò, un ipocrita, un baciapile che per conformismo e timore di punizioni biascica di continuo invocazioni del nome di Santi o di Dio a sproposito, cioè un bigotto. Secondo alcuni, questa parola deriva dal francese “bigot”, aggettivo dispregiativo dato a certi tedeschi del Medioevo per la loro ricorrente esclamazione “bî Gott”, per Dio, e poi per analogia ai cristiani di Normandia. Insomma, un fedele che mostra a tutti uno zelo esagerato, una pignoleria ostentata nell’osservare le più minute pratiche prescritte dalla regola o dal culto. Ma, appunto, è solo rigore nelle pratiche esteriori e assai poco nello spirito religioso e nell’etica.
      Ne deriva, nella satira anti-cattolica e anti-religiosa europea - come ha notato il provocatorio matematico Odifreddi - il ritratto d’un tipo umano pedestre, nient'affatto eroico e intelligente, anzi un po’ sciocco. Sciocco? Come se l'alta spritualità fosse degli alti spiriti e la religione degli atti formali dei “poveri di spirito”, sublime eufemismo che sta addirittura nel Vangelo, tanto che gli etimologisti (che devono essere tutti atei) fanno derivare il nome stesso “cretino” da “cristiano”, e non viceversa, come ha confermato anche l'Accademia della Crusca sulla base di studi vecchi e nuovi! 
      Ma è anche un individuo-non-individuo, quello soggetto agli obblighi formalistici della Chiesa, come appaiono da questi due sonetti. Un penoso uomo-massa che è annullato e controllato da un severo controllo sociale, quello della folla degli altri fedeli e dei religiosi. Qualcosa che ci ricorda il rozzo conformismo delle masse islamiche, più che l’ascetismo individuale o il dignitoso individualismo “a tu per tu” con Dio, caratteristico del protestantesimo e anche dell’ebraismo. Perciò, qualcuno ha detto, che l’individuo sembra non esistere nel Cattolicesimo così interpretato e realizzato. Il che poi avrà inesorabili conseguenze storiche, economiche e politiche: il Liberalismo e il libero mercato non nascono in terre cattoliche, ma in quelle riformate. 
      Nella pratica cattolica tutto è pantomina, rappresentazione, teatro, colori sgargianti, eccesso di forme, movimenti di masse. Lo stile e il secolo tipici? Il barocco, il Settecento. E per la Chiesa di Roma è sempre barocco, sempre Settecento. Ecco che cosa è, o si è ridotto a essere in questi tempi di decadenza – sembra dire il poeta – un “buon cristiano”. Come meravigliarsi, perciò, se il tipico popolano romano, rappresentato in un’evidente satira nel secondo dei sonetti col medesimo titolo "Er galantomo" (noi riportiamo quello del 1832), proprio questo intende. Ovviamente, con l'aggiunta di un ulteriore sarcasmo nominalistico, dovuto alla voluta confusione dell'essere “galantuomini”, cioè persone oneste e per bene, con l'essere bigotti. 
      Infine una nota di colore: le raccomandazioni per essere un "buon cristiano" sono rivolte, come dice chiaramente il titolo del primo sonetto (Er galantomo), innanzitutto al popolano maschio: alle donne sono dedicati altri sonetti. Infatti, arriva subito l'invito a non fare i propri bisogni nei portoni, propri e altrui, pratica evidentemente diffusissima nel primo Ottocento in una città papalina che, a differenza di quella molto più civile ed evoluta degli Antichi Romani, non ci risulta fosse dotata di latrine e bagni pubblici, e dove perfino molte grandi dimore patrizie non avevano stanze da bagno, tanto da collocare talvolta la pestilenziale "seggetta" (sorta di sedile forato contenente un alto e capiente vaso di ceramica), nel vano della finestra di un pianerottolo, e non sempre nascosta da una tenda... Cosicché quasi tutti espletavano i propri bisogni fisici dove capitava: nel buio d'un angolo sotto una scalinata, dietro un albero, in un cortile, nelle zone più oscure dei vicoli, nei vicoli ciechi e non transitabili tra due caseggiati ("chiassetti" in toscano) e, appunto, perfino dentro gli androni dei palazzi.

ER GALANTOMO (II)

Nun ce vò mmica tanto pe ssapello (1)
si ssei un galantomo o un birbaccione.
Senti messa? sei scritto a le missione?
cuann’è vviggijja, magni er tarantello?
a le Madonne je cacci er cappello?
vôi bbene ar Papa? fai le devozzione?
si ttrovi crosce ar muro in d’un portone,
le scompisci, o arinfòderi l’uscello?
dichi er zottumprisidio cuanno t’arzi?
tienghi in zaccoccia er zegno der cristiano?
fai mai la scala-santa a ppiedi scarzi?
tienghi l’acquasantiera accapalletto?
Duncue sei galantomo, e ha’ tant’in mano
da fà ppuro abbozzà Ddio bbenedetto.
11 novembre 1832

Versione. Il galantuomo [la persona per bene]. Non ci vuole tanto per sapere se sei una persona per bene o un poco di buono. Vai a messa? Sei iscritto alla Confraternita? Quand'è vigilia mangi il tonno? Davanti alle immagini della Madonna ti togli il cappello? Vuoi bene al Papa? Frequenti i sacramenti? Se in un portone trovi una croce dipinta sul muro [proprio per incutere rispetto e non far orinare], gli orini sopra o rinfoderi l’uccello? Dici la preghiera alla Vergine “Sub tuum praesidium...” quando ti alzi dal letto? Tieni in tasca il segno del cristiano [il rosario]? Sali mai la Scala Santa a piedi scalzi? Hai un’acquasantiera in capo al letto? Dunque sei una persona per bene, e hai in mano argomenti sufficienti per mettere a tacere perfino Dio benedetto.

È colpa dei fedeli questo inaridimento delle radici spirituali della religione cattolica oppure è tutta responsabilità delle gerarchie di S. Madre Chiesa? «È forse egli solo, il povero popolano, nella sua semplicità e modestia intellettuale e morale, a non aver capito, ad aver immiserito e banalizzato il messaggio evangelico?», sembra chiedersi il Belli. No, nient’affatto. Quelle minute prescrizioni esemplificate nei due sonetti sono letteralmente proprio le raccomandazioni che qualsiasi parroco zelante richiede a ogni parrocchiano per considerarlo ufficialmente “buon cristiano”. È chi ha messo in testa questa pratica, queste idee, ai preti se non la Chiesa, con i lunghi e perfino cavillosi studi di seminario?
      Un nemico della Chiesa Cattolica potrebbe facilmente sostenere che altro non è la “cattolicità” che una serie infinita di belle chiese, stupendi monumenti, statue raffinate, belle musiche da chiesa, abiti sfarzosi – anche di porpora e d’oro – che mutano di colore e ornamenti ogni giorno, come neanche le donne più capricciose fanno, ed eleganti fiocchetti esibiti perfino sull’abito della festa delle donne del popolo. Senza contare la lunga serie di festività e addirittura l’obbligo, davvero incredibile, di mangiare pesce in certi giorni, detti “di vigilia”, e non certo il pesce meno costoso (ma il “tarantello” o filetto di tonno).
      Ma allora aveva ragione la Riforma protestante. Nelle Chiese riformate, come la luterana “evangelica” e la calvinista, la religione non è vista come esteriorità, ostentazione di gesti, riti ripetitivi, formalismo, burocrazie di indulgenze, mercato dei miracoli e lusso, ma come esperienza interiore. La rottura con la Chiesa di Roma si era avuta proprio su questi punti nel 1517, quando il monaco agostiniano Martin Lutero pubblicò le sue “95 Tesi” sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg. 
      Eppure, il moralismo espresso dal Belli occhieggiava, sia pure emarginato e isolato, nella Chiesa. Perciò siamo sicuri che entrambi i sonetti, perfino "La riliggione der tempo nostro", probabilmente letti dallo stesso Belli davanti a qualche monsignore dell’Accademia Tiberina, non saranno stati giudicati blasfemi dagli ecclesiastici dotati di senso del comico o di un'alta concezione religiosa, ma anzi, saranno stati approvati, sia pure con molta ipocrisia. Anche perché il furbo e ambiguo Belli fa finire il secondo sonetto "in Gloria", lodando per contrasto in modo paradossale il Vangelo, che - lamenta - ormai tra tante feste, abiti e rituali raffinati, non viene più letto e rispettato, anzi, è carta da vendere a peso al salumaio, perché la usi per incartare il salame. E con questa "morale della favola" così virtuosa - si illudeva il poeta - quale cardinale o monsignore del Sant'Uffizio avrebbe potuto accusare il sonetto di spirito "protestante"? Peccato che proprio i protestanti, a cominciare da Lutero, contrapponevano di continuo la corrotta Chiesa di Roma al Vangelo!

LA RILIGGIONE DER TEMPO NOSTRO

Che rriliggione! è rriliggione questa?
Tuttaquanta oramai la riliggione
Conziste in zinfonie, ggenufressione,
Seggni de crosce, fittucce a la vesta,
Cappell’in mano, cenneraccio in testa,
Pessci da tajjo, razzi, priscissione,
Bbussolette, Madonne a ’ggni cantone,
Cene a ppunta d’orloggio, ozzio de festa,
Scampanate, sbasciucchi, picchiapetti,
Parme, reliquie, medajje, abbitini,
Corone, acquasantiere e mmoccoletti.
E ttratanto er Vangelo, fratel caro,
Tra un diluvio de smorfie e bbell’inchini,
È un libbro da dà a ppeso ar zalumaro.
11 ottobre 1835

Versione. La religione del tempo nostro. Quale religione! È religione questa? Tutta quanta oramai la religione consiste in musiche da chiesa, genuflessione, segni di croce, nastrini sul vestito [che le donne si appuntano come ex-voto per scampato pericolo], cappelli in mano, cenere sul capo, pesci da taglio [per il pranzo “di magro”], mortaretti e feste, processione, bussolotti della questua, Madonne a ogni cantone, cene con gli occhi sull’orologio [per timore che passi la Vigilia], ozio della festa, suono di campane, sbaciucchiamenti, percosse al petto [in atto di contrizione], palme, reliquie, scapolari benedetti, corone, acquasantiere e candele. E intanto il Vangelo, caro fratello, in un profluvio di smorfie e begli inchini, è un libro da vendere a peso al salumaio [perché ne faccia carta per incartare il salame].

(1). Nel manoscritto originale c’era scritto “capillo”, non “sapello”; «ma la correzione per la rima è necessaria – scrive il Cagli – ed è già stata adottata dal Morandi e dal Vigolo».

IMMAGINI. 1. La predicazione in piazza di B. Pinelli. I frati predicatori, in particolare, eccitavano il fanatismo del popolino più ignorante e suggestionabile. Si notino ai lati i volontari di qualche confraternita col volto celato (i "sacconi"). 2. Fedeli che baciano il piede della statua di S.Pietro (B.Pinelli).


AGGIORNATO IL 13 GIUGNO 2021

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