11 marzo 2013

Il Conclave visto dal ciabattino saggio: «Io Papa? Fossi matto!»

Porta Cappella Sistina Secondo voi, un ciabattino, uno dei mestieri più umili nella ottocentesca Roma papalina, se glielo chiedessero per un miracolo dello Spirito Santo i cardinali riuniti in Conclave, cappello in mano, vorrebbe fare il Papa? Macché, manco morto. A un uomo, argomenta il calzolaio del Belli, levategli tutto, ma non l’uso dell’uccello, l’osteria o il gioco! Inchiodatelo su un seggiolone, mandatelo in giro in processione, e lo avrete ammazzato! No, meglio un tozzo di pane e continuare a rattoppare ciabatte:

LA VITA DER PAPA
Io Papa?! Papa io?! fussi cojjone!
Sai quant’è mmejo a fà lo scarpinello?
Io vojo vive a modo mio, fratello,
e nò a mmodo de tutte le nazzione.
Lèveje a un Omo er gusto de l’uscello,
inchiodeje le chiappe s’un zedione,
mànnelo a spasso sempre in priscissione
e cco le guardie a vista a lo sportello:
chiudeje l’osteria, nègheje er gioco,
fàllo sempre campà cco la pavura
der barbiere, der medico e der coco:
è vita da fà gola e lusingatte?
Pe mé, inzin che nun vado in zepportura,
maggno un tozzo e arittoppo le ciavatte.
16 novembre 1833

Versione. La vita del Papa. Io Papa?! Papa io?! Neanche fossi coglione! Sai quanto è meglio fare il ciabattino? Io voglio vivere a modo mio e non come vivono negli altri Paesi. Leva a un uomo il piacere dell'uccello (in senso osceno), inchiodagli le natiche sul trono papale, mandalo a spasso sempre in processione e con le guardie accanto allo sportello [della carrozza]: vietagli l'osteria e il gioco, fallo vivere sempre con la paura del barbiere, del medico e del cuoco [tutti potenziali attentatori della vita del Papa]: è vita da piacere e da invidiare? Per me, fino a che non vado in sepoltura, [più volentieri] mangio un tozzo di pane e rattoppo le ciabatte.

Infatti, non è detto che la vita del Papa sia poi tutta rose e fiori, cioè tanto invidiabile. Sembra quasi che nella sua ignoranza il ciabattino sapesse che, soprattutto nei primi secoli, quando i cristiani erano sotto l’Impero Romano e agivano da cospiratori e rivoluzionari, un Papa poteva anche essere incarcerato e morire, come accadde a papa Fabiano, uno qualunque del popolo (v. oltre). Neanche sul piano politico, come possono testimoniare le cronache delle ricorrenti ribellioni scoppiate a Roma e nelle provincie dello Stato della Chiesa, che negli anni in cui G.G. Belli scriveva i suoi sonetti mettevano in serio pericolo il Potere Temporale. E quando ci furono i moti nelle Romagne e nelle Marche e il papa Gregorio XVI dovette ricorrere agli Austriaci. “Tempo di carestia pane de veccia” diceva il Belli in un altro sonetto. E certo il Papato aveva alti e bassi, con gli agi e gli sfarzi dei regimi assolutistici, ma anche coi terribili pericoli che la recente esperienza della Rivoluzione francese aveva prospettato ai regnanti di tutta Europa. Insomma, tempi duri per un Papa, soprattutto se “scacarcione” (cioè cacasotto, pauroso), come lo definisce il Belli in un sonetto:

Povero frate! è ttanto scacarcione
Che ssi una rondinella passa e ffischia
La pijja pe 'na palla de cannone.

Eppure, qualche popolano, tra una fojetta [misura caratteristica del vino su caraffe graduate dello Stato pontificio, pari a circa ml. 500] e l’altra di vino dei Castelli, quando la mente gli si annebbia, fantastica di essere lui, vestito di bianco, a comandare e a essere riverito in Vaticano, e dare così una svolta alla propria vita di stenti. Perché no, in fin dei conti, visto che per Santa Romana Chiesa qualunque cristiano, anche laico, può diventare Papa?

Altro che giornalista, pilota, medico, cantante, attore o calciatore, le professioni più gettonate dai ragazzi di oggi. A Roma ai tempi del Belli, prima metà dell'800, non esisteva quasi nessuno di questi mestieri. Del resto, quasi non esistevano istruzione, borghesia o arti liberali. Il nulla, o meglio un regime assolutistico dove cento famiglie nobili avevano quasi tutto, e al popolino andavano solo le briciole.
Ma non era proibito sognare, o parlarne sottovoce e di nascosto, naturalmente. Nei sonetti del Belli, di tanto in tanto, affiorano in superficie i desideri segreti e improponibili del volgo romano. Soprattutto in occasione della morte di un Papa. Allora ci si sfogava a sbeffeggiarlo, a commentarne le ricchezze accumulate o sperperate, ma anche a sognare, molto, molto in grande.

Quando il Conclave si riuniva, gli allora settanta i cardinali si palleggiavano i nomi dei papabili, che provenivano spesso da queste 100 famiglie, fino a che lo “Spirito Santo” non faceva individuare il futuro pontefice. Che poteva però essere, in teoria, un uomo di fede al di fuori della ristretta cerchia della Curia e del mondo che gravitava intorno al Vaticano.

Ma poteva anche essere un cristiano qualunque, come il pellegrino appena arrivato dalla campagna, tale Fabiano, che nel 236 d C trovatosi in mezzo alla folla di cristiani che doveva eleggere il successore di papa Antero sentì posarsi sulla testa un colombo. Il popolo decise che quel colombo era lo Spirito Santo e il villico fu fatto Papa per acclamazione (A. Paravicini Bagliani, Morte ed elezione del papa: norme, riti e conflitti. 2013).  Chissà, forse aveva appena seminato nel proprio campo, oppure odorava di stallatico, fatto sta che attirava i piccioni. Del resto è lo stesso Belli che insinua questa cattiveria, quando in un sonetto su papa S.Gregorio che aveva fama di ricevere direttamente all’orecchio la voce dello Spirito Santo, spiega la cosa “scientificamente”: forse il furbo sant’uomo si era ficcato nelle orecchie dei “vaghi [chicchi] d’orzo”, per attirare i piccioni! Comunque il destino di Fabiano è quello sognato dal sor Titta, il fornaciaro romano, mentre si sputa i polmoni per “abbottare”, cioè dare forma a un fiasco di vetro:

LA SCERTA DER PAPA
Sò fornasciaro, sí, sò fornasciaro,
sò un cazzaccio, sò un tufo, sò un cojone:
ma la raggione la capisco a paro
de chiunque sa intenne la raggione.
Scejenno un Papa, sor dottor mio caro,
drent’a ’na settantina de perzone,
e manco sempre tante, è caso raro
che s’azzecchino in lui qualità bone.
Perché s’ha da creà sempre un de loro?
perché oggni tanto nun ze fa filisce
un brav’omo che attenne ar zu’ lavoro?
Mettémo caso: io sto abbottanno er vetro?
entra un Eminentissimo e me dice:
«Sor Titta, è Papa lei: vienghi a San Pietro».
22 dicembre 1834

Versione. La scelta del Papa. Sono fornaciaro, sì, sono fornaciaro, sono un cazzaccio, un tufo, un coglione [un sempliciotto, uno stupido]: ma la ragione la capisco al pari di ognuno che la sa intendere. Scegliendo un Papa, caro il mio dottore, fra una settantina di persone, e non sempre così numerose, è un caso raro che si trovino in lui qualità buone. Perché si deve creare [il Papa] sempre fra uno di loro? Perché ogni tanto non si fa felice un brav’uomo lavoratore? Mettiamo il caso: io sto abbottando il vetro? Entra un Eminentissimo [cardinale] e mi dice: «Signor Titta [diminutivo di Giovanbattista] è Papa lei: venga a San Pietro».

Un sogno troppo grande, anche perché nell'assemblea che elegge il Papa si giocava (e si gioca tuttora) un braccio di ferro fra diverse fazioni della Curia in obbedienza a complesse strategie locali e internazionali. Tant’è che da sempre, per cercare di sottrarre i Cardinali alle lusinghe e ai suggerimenti mondani, li si chiude, quasi murati vivi, in una specie di serraglio nel quale non possa giungere altro suggerimento che dallo “Spirito Santo”. Nessuna comunicazione con l'esterno. Un piccolo nucleo di inservienti: moltissimi scopatori, famosi gli scopatori segreti del Palazzo del Papa, qualche medico e qualche prete e prelato per dire le messe. E i famosi pranzi di prelati e Cardinali? Da dimenticare durante il conclave, quasi solo “fast food” da recapitare in ceste sottoposte a controlli meticolosi per impedire missive clandestine. Questo ai tempi in cui il Belli scriveva il sonetto, ma anche oggi poco è cambiato:

ER CONCRAVE
Ganassa, hai visto mai queli casotti
dove se fanno vede l’animali?
Cusí in concrave, in tanti cammerotti,
sò obbrigati de stà lli Cardinali.
Da pertutto ferrate, bussolotti,
rôte, cancelli, sguizzeri, uffizziali,...
e inzino le cassette e ll’orinali
hanno d’avé li su’ sarvi-condotti.
Je se porta er magnà ’n una canestra,
e ppe ppaura de quarche bbijjetto
se visita inzinent’a la minestra.
Quarche vorta però, tra tant’impicci,
poterebbe passà p’er vicoletto
un pasticcio ripieno de pasticci.
25 novembre 1832

Versione. Il Conclave. Ganassa [mandibola, soprannome per forte mangiatore], hai visto mai quelle gabbie dove si fanno vedere gli animali? Cosi nel Conclave, in tante stanzette sono costretti a stare i Cardinali. Dappertutto inferriate, controporte, ruote [come nei conventi di clausura, dispositivi in forma di cilindro che ruota su un asse, per consegnare cose senza vedere o essere visti], cancelli guardie svizzere, ufficiali [della Guardia nobile], e perfino le sedie stercorarie e gli orinali debbono avere i loro salvacondotti. Gli si porta il cibo in una canestra e per paura di qualche biglietto si controlla pure la minestra. Qualche volta però pur con tanti controlli potrebbe passare di nascosto un pasticcio [pietanza di pasta] con ripieno di pasticci [imbrogli].

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