12 aprile 2011

Santaccia di piazza Montanara, la mitica puttana di buon cuore.

Ogni ragazza è seduta sulla sua fortuna, e non lo sa", sosteneva con capitalistico senso pratico e un po’ di ingenua eleganza verso il suo sesso Nell Kimball, autrice di Memorie di una maitresse americana, che di giovani prostitute ne aveva allevate migliaia. E, come vedete, non parlava del viso o della bellezza delle ragazze.

In realtà, diciamocelo in un orecchio, quale giovane donna, sia pure abitante nel più sperduto villaggio, ignora che il suo corpo, per quanto imperfetto, è capace di accendere il desiderio di qualche uomo, e che da questo desiderio può trarre facilmente vantaggio? Le elegantissime "hostess", le diciottenni "escort" alla moda che oggi riempiono le cronache perfino politiche e che, se incontrano il ricco imprenditore o il vecchio politico, riescono a guadagnare in una notte anche centinaia di migliaia di euro, addirittura un appartamento, non l’hanno saputo certo dalla Befana che il proprio sesso può fare miracoli, più d’un lungo e aleatorio cursus honorum.

"Tira più un pelo di fica che un carro di cento buoi" disse un contadino volgare ma sapiente. In mancanza di altre doti, s’intende, che però hanno il difetto di richiedere lunghe e opinabili dimostrazioni. Se poi la ragazza è anche bella, il colpo d'occhio, la valutazione estetica ictu oculi, hanno la meglio sempre: sono una eccellenza evidente. E sì, perché la sottile arte del piacere, l’abilità di conservare o migliorare la sensualità nel tempo, sono spesso doti superiori alla capacità di tradurre dal greco antico o di imparare a memoria qualche libro, segno indubbio di intelligenza, del "divino" che è in noi, come avevano capito bene i giudici di Atene davanti alla etèra Frine nuda. Giustamente, avevano la prova provata che un Logos, un Dio era dalla sua parte. Ecco perché in un articolo ho sostenuto che una modella, una cover-girl, una escort, è molto meglio, perfino sul piano etico ed intellettuale, dell’arcigna professoressa moralista che la critica.

Ma la prostituta non è certo più bella delle altre donne, anzi. E il suo mestiere in una città poverissima, com’era Roma al tempo dei Papi-re, non era tutto rose e fiori, come quello di certe escort di oggi. Altro che "filles de joie", ragazze di gioia. Forse la davano, ma non la ricevevano. I parroci, che nel ‘700 tenevano l’anagrafe, schedavano i neonati lasciati dalle meretrici alla ruota dei conventi o sul sagrato delle chiese, come "f. di m. ignota". Da cui la deformazione latino-romanesca di "mignotta". Neanche passeggiatrici, tantomeno peripatetiche, termine colto e filosofico (che la dice lunga su chi era in grado di andare a puttane) visto che nel Peripatos passeggiavano Aristotele e i suoi allievi! Infatti alle ragazze "facili" era vietatissimo deambulare mettendosi in mostra, e perfino, in certi periodi, affacciarsi alla finestra.

A Roma fare la puttana era spesso la scelta obbligata di povere ragazze senza arte né parte, talora bruttine di viso ma forti e grandi di corpo, con grandi sederi e grosse cosce (questi i gusti della clientela dell’epoca), immigrate dalla campagna, schedate fin da quando varcavano le porte di Roma, sottoposte dagli uffici del Vicario a mille restrizioni e umiliazioni, ma tutto sommato tollerate con benevolenza visto che i loro più assidui e generosi clienti erano monsignori e cardinali. Era grazie a loro, oltre ai pochi e danarosi turisti stranieri (Montaigne e Goethe, però, scrissero che le romane erano brutte) e a qualche commerciante di passaggio, che riuscivano ad evitare di morire di fame. Non tutte avevano la fortuna di poter vivere o lavorare, sia pure in una stanzetta, che spesso era una stamberga, nel privilegiato" quartiere delle luci rosse", come abbiamo scritto in un articolo su piazza di Spagna.

Santaccia, mitica figura di prostituta popolare, personaggio reale di cui il popolino romano conservava ancora memoria ai tempi del Belli, doveva essere, appunto, una di queste ex-giovani immigrate dal circondario (era di Corneto, come si chiamò fino al secolo scorso Tarquinia) che non avevano mai fatto fortuna.

Condannata, o perché poco bella o troppo rustica, a frequentare piazza Montanara, la piazza più colorita e animata di Roma, tra le pendici del Campidoglio e i resti del Teatro Marcello, Santaccia era – scrive il Vigolo – "un'infima Taide, che esercitava il suo commercio en plein air, sulla piazza presso il teatro di Marcello". Ma era diventata così abile con i suoi clienti che il Belli la definisce una che sa "dare il resto", cioè sa trattare, sa dire il fatto suo a chiunque.

Altro che piazza, era un vero théatre de vie, piazza Montanara, così chiamata per una nobile famiglia Montanari. Ogni mattina si trasformava in un brulicante e maleodorante ritrovo di braccianti agricoli, giardinieri, operai a giornata, servette contadine, venditori ambulanti, cavalli, ortaggi, carri di merci, carretti a mano, legumi secchi, formaggi, balle di fieno, letame, scrivani, artigiani, curiosi, preti, nullafacenti, giocatori di "tre carte", truffatori, e bellimbusti rugantini "in cerca di rogna". Le guardie dei Capo-rioni dovevano starsene ben lontane, se tenevano al quieto vivere.

Di questa piazza, non bella ma tipica della Roma dei Papi, distrutta per aprire la via del Mare negli anni ’20, di cui resta il toponimo nel brevissimo "vicolo Montanara" che immette in piazza Campitelli, pubblichiamo qui due belle immagini.

Ma in piazza Montanara, con i poveri prestatori "d’opera", come li chiama il fotografo e pittore E. Roesler Franz, la povera anche se esperta Santaccia non poteva certo sperare di arricchirsi. Aveva perciò inventato un singolare e perfino acrobatico metodo industriale, una letterale "catena di montaggio" – passateci il doppio senso – di stampo taylorista, per poter fornire a quattro clienti tutt’insieme, ad un prezzo pro-capite molto basso, quelle prestazioni che se concesse ad un cliente solo per volta sarebbero state troppo care e quindi fuori mercato.

Oggi c’è il car sharing: perché una sola automobile per un solo passeggero, quando potrebbe soddisfarne quattro con minima spesa e inquinando meno? Ecco, col medesimo senso del risparmio, con la stessa logica ecologica, la Santaccia, antesignana senza saperlo delle attuali donne laureate alla Bocconi in economia e psicologia del mercato, aveva inventato il "sex sharing" intelligente. Il suo slogan avrebbe potuto essere: "perché far godere uno solo ad alto prezzo, quando si può, col medesimo ricavo totale, far godere quattro persone a basso prezzo?" Grande copywriter. Che poi, se ci pensate bene, è stata per decenni la logica della Ford negli Stati Uniti e della Fiat in Italia.

Vista la povertà dei suoi frequentatori, piazza Montanara era dunque un mercato economicissimo, frequentato anche dai romani degli altri rioni che qui convenivano per risparmiare. Tra le tante osterie, per esempio, la locanda "der Bujaccaro" offriva per un baiocco un minestrone fumante che rinvigoriva. E un baiocco appena vi sarebbe costata anche la Santaccia, se vi foste adattati a condividerla per dividere le spese con altri tre rozzi sconosciuti, sicuramente non olezzanti di menta e rosmarino, dietro un muro, una colonna romana, o nella penombra aleatoria d’un sottoscala o cortile. Che tempi:

SANTACCIA DE PIAZZA MONTANARA
Santaccia era una dama de Corneto
da toccà ppe rrispetto co li guanti;
e ppiú cche ffussi de castagno o abbeto,
lei sapeva dà rresto a ttutti cuanti.
Pijjava li bburini ppiú screpanti
a cquattr’a cquattro cor un zu’ segreto:
lei stava in piede; e cquelli, uno davanti
fasceva er fatto suo, uno dereto.

Tratanto lei, pe ccontentà er villano,

a ccorno pístola e a ccorno vangelo
ne sbrigava antri dua, uno pe mmano.
E ppe ffà a ttutti poi commido er prezzo,
dava e ssoffietto, e mmanichino, e ppelo
uno pell’antro a un bajocchetto er pezzo.
12 dicembre 1832

Versione. Santaccia di piazza Montanara. Santaccia era una donna di Corneto [ora Taquinia, ma anche nel doppio senso popolaresco di paese di chi "mette le corna" e di prostitute] da trattare per rispetto con i guanti, e più ancora che fosse di castagno o abete [legni molto resistenti] sapeva trattare chiunque. Prendeva i villani più spacconi a quattro a quattro, con un suo segreto: lei stava in piedi, e quelli, uno davanti faceva il fatto suo, uno dietro. Nel frattempo, per accontentare il villano, a cornu epistulae e a cornu evangeli [il lato dell’Epistola e il lato del Vangelo, i due lati dell’altare della Messa dove legge il sacerdote officiante: come dire destra e sinistra] ne sbrigava altri due, uno per mano. E per fare a tutti un prezzo basso dava didietro, mani e pelo, uno per l’altro, a un baiocchetto al pezzo.

Bellissimo quel verso che volgarizza il linguaggio ecclesiale, e dice "destra" e "sinistra" come li direbbe sull’altare un prete che dice messa. Molto apprezzato dai sacerdoti romani che amano il Belli, visto che l’abbiamo trovato commentato nel sito "Messa in latino". Sempre nel gioco comico belliano di passare rapidamente dal basso all’alto, e viceversa.

Ma nel mito di Santaccia, come per molte prostitute, c’è la pietà umana, oltre alla religione superstiziosa e al rito dei defunti. Generosa del suo corpo fino al punto di darlo (di darne una parte, magari piccolissima) gratis, per pietà tipicamente femminile, anche al giovane così povero da non potersi permettere neanche un baiocco. E con una motivazione "pia" che sorprende, e fa da acme, in un crescendo umoristico, proprio alla conclusione del sonetto.

SANTACCIA DE PIAZZA MONTANARA

A pproposito duncue de Santaccia
che ddiventava fica da ogni parte,
e ccoll’arma e ccor zanto e cco le bbraccia
t’ingabbiava l’uscelli a cquarte a cquarte;
è dda sapé cc’un giorno de gran caccia,
mentre lei stava assercitanno l’arte,
un burrinello co l’invidia in faccia
s’era messo a ggodessela in disparte.
Fra ttanti uscelli in ner vedé un alocco,
"Oh", disse lei, "e ttu nun pianti maggio?"
"Bella mia", disse lui, "nun ciò er bajocco".
E cqui Ssantaccia: "Aló, vvièccelo a mmette:
sscéjjete er búscio, e tte lo do in zoffraggio
de cuell’anime sante e bbenedette".
12 dicembre 1832

Versione. Santaccia di piazza Montanara. A proposito, dunque, di Santaccia, che diventava fica da ogni parte, e con un lato e con l’altro [arma e santo erano per tradizione il dritto e rovescio delle monete dei Papi, come testa o croce per le monete dei Savoia, con cui giocavano in strada i ragazzi del popolo] e con le mani, prendeva uccelli a quattro a quattro, bisogna sapere che un giorno che aveva grande lavoro, mentre stava esercitando l’arte, un burinello col desiderio in faccia si era messo a godersela in disparte. Tra tanti uccelli, nel veder un allocco lei disse: "Oh, e tu non pianti maggio?" ["piantar maggio": antica tradizione di piantare a maggio nel terreno, come simbolo beneaugurante di fertilità, un albero nudo, o meglio un lungo tronco vivo ma senza foglie. Chiara allusione sessuale, sia nella tradizione che qui]. "Bella mia", disse lui, "non ho un bajocco". E Santaccia: "Sù, vieni a mettercelo: scegliti un buco, e te lo dò in suffragio di quelle anime sante e benedette" [dei defunti].

La dedica "in suffragio" che fa la sordida Santaccia, e proprio mentre vende il suo corpo nel modo più abietto, secondo l’uso cattolico delle "intenzioni" per alleviare le pene del Purgatorio dei defunti, o per invocare i Santi, qui mescolate, è un contrasto che più che muovere al riso commuove il lettore.

Insomma, nell’ambiguo e cattolicissimo Belli-dr.Jeckill, in cui il mister Hide segreto decide di incarnare tutte le geniali bassezze della plebe romana come rivalsa contro una vita mediocre e disperata, non deve stupire la compenetrazione tra sacro e profano, o comunque tra registro alto e basso. E’ uno dei filoni più efficaci dei Sonetti belliani. E qui, in particolare, a proposito dei due sonetti su Santaccia – scrive il Vigolo con la sua solita prosa romantica e oscura – "la contaminazione del sacro e dell'erotico raggiunge una specie di "ratto verso il basso" non altrove superato e che sarebbe intollerabile se non vi corresse attraverso come il guizzo di una ambigua illuminazione".

Ma se vi piace questo stile aulico e ottocentesco (ne dubitiamo) entro cui il Vigolo stringe la sua critica ai due sonetti di Santaccia, ce n’è ancora. Così finiamo in pieno neoclassicismo romantico: mai la povera Santaccia, e nemmeno il Belli, avrebbero immaginato di suscitare con le loro opere tali parole:

"È turpe e funebre ma patetico quanto non si può dire. "Un sacrifice à Priape sur un tombeau", dice Stendhal nelle Promenades dans Rome, a proposito di una scultura pagana ,"et de jeunes filles jouant avec le dieu! Il y a loin de là à l'idée d'une messe pour les morts".

"Il sonetto belliano di Santaccia – continua il Vigolo nella sua pesante prosa romantica - sembra indirettamente rispondere che, per quanto lontani, i due fatti possono essere avvicinati nell'insania satiresca del ditirambo comico: e per il suo miscuglio di sacro, di erotico e di funebre, come un nero vino conciato di elleboro e di incenso da versare in terra in un brindisi agli dei infernali, quante volte la poesia del Belli di questo periodo non fa pensare davvero a un "sacrifice à Priape sur un tombeau"!

"Ma qui il satiro romanesco sembra gareggiare con se stesso di empietà e di scurrilità, e si spinge tanto oltre da toccare un limite in cui i motivi piú opposti tendono a risolversi, a tramutarsi l'uno nell'altro in una identità primigenia, elementare.
"E non si può dire che questa Eva miseranda uscita dalla costola del poeta piombato nel piú profondo sonno, sia soltanto lubrica e blasfemante. V'è alla fine, e nel modo piú inaspettato, un improvviso sgorgare di pietà e di tenerezza. Invece che un sorriso tra le lagrime, diresti che una lagrima fugga via fra l'osceno riso del mascherone democritèo.

"Già l'apparire del "burrinello" ("burrini" chiamavano questi rozzi braccianti agricoli per lo piú romagnoli) che resta "in disparte" a guardare il piacere degli altri, porta nella scena una prima incrinatura dolorosa. L'espressione "in disparte" è struggente perché esprime il senso della esclusione e della malinconia.

"Da ciò la pietà della donna e insieme un intenerimento materno per il giovinetto, misto a una solidarietà, nella miseria, col piú povero, tuttavia celata, dissimulata - e questo è il tratto che va piú a dentro nella verità - sotto la meno consueta forma di pudore e dove tutto fuori che il pudore ci si aspetterebbe. Ma il pudore del sentimento, della pietà, dell'amore, è piú tenace, anche negli esseri piú avviliti e corrotti, ed anzi proprio in essi, che non il pudore fisico; e qui insieme al pudore vedrei anche l'onore, l'onore professionale della prostituta, alla quale parrebbe di essere da meno di se stessa e di mancare ai doveri di casta (noblesse oblige), se mostrasse di darsi per nulla a un ragazzotto.

"Perciò la soluzione di darsi in suffragio, che può vedersi anche dettata dall'abito di una sottile casistica e di una fede cieca nell'aldilà in una donna che per questo forse era chiamata Santaccia, e cioè una santa di mal affare, - una bizzoca pure nel mal costume, - questa soluzione per cui, rinunciando al compenso materiale, ella se lo accredita nei lucri spirituali delle opere buone nell'oltretomba, concilia con pratico senso di carità e di invincibile attaccamento al guadagno una quantità di cose, le permette di fare un contrabbando del suo stesso bisogno di amore, di affetto sotto una offerta pia; e infine, ciò che è piú singolare, fa approdare tutto questo groviglio di contraddizioni a un atto di fede, l'affermazione di una credenza assoluta nel mondo degli spiriti e dei compensi trascendenti.

"Certo in pochi sonetti del Belli si rimane alla fine così sconcertati: poiché il fondo demoniaco del poeta viene qui fuori in uno dei suoi aspetti piú sibillini e ambivalenti, lanciando attraverso il ditirambo comico e il distacco turpe dell'oggetto, un amo che pesca molto a fondo in quella infima materia e inferna sottorealtà, che è poi qui anche substantia: l'irrazionale, ma anche cosmica sostanza dell'umano”.

"Come nei vecchi drammi satireschi, una strana, irreale luce mistica si irraggia su codesto basso mondo del comico, caduto in pezzi nella atroce incoerenza; essa forma un'aureola intorno al deforme e barbuto viso del semidio con le cosce di capro, e gli occhi di santo - splendenti dell'amore immenso che vorrebbe ricostituire la spezzata, lacerata unità del mondo - gli si empiono di lagrime". (G. Vigolo, Saggio sul Belli. Introduzione ai Sonetti 1952)

IMMAGINI. 1. In mancanza di immagini plausibili, un ritratto femminile che esprime insieme carnalità, durezza di tratti e bonomia può ben essere assunto come simbolo analogico del personaggio del sonetto belliano (ritratto di F. de Nicola, elaborazione al computer di N.Valerio). 2. Attorno alla fontana di piazza Montanara brulicante di umanità (xilografia di A.Closs). 3. La piazza intera, con le rovine del teatro romano di Marcello in fondo (incisione di G.Vasi). 4. Alcuni "burini" o prestatori d'opera di piazza Montanara (da una foto di E.Roesler Franz).

 
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