3 marzo 2011

Quel pazzo Carnevale romano, amato da tutti, ma non dai Papi

“Il Carnevale a Roma non è una festa data al popolo, ma una festa che il popolo dà a se' stesso. Il Governo non
fa né preparativi né spese. Non illuminazioni, non fuochi artificiali, non processioni splendide, ma un semplice segnale che autorizza ciascuno ad essere pazzo e stravagante quanto gli pare e piace, ed annunzia che, salvo le bastonate, e le coltellate, tutto è permesso. . . Soprattutto le ragazze e le donne ne approfittano per spassarsela a loro gusto". Cosi scriveva il Goethe, poeta e romanziere germanico, alla fine del '700 durante il suo viaggio, e lunghissimo soggiorno, in Italia.
E' dalla notte dei tempi che il Carnevale romano rappresenta la festa piu' popolare e indiavolata del mondo. Il volgo si scatenava nella Roma antica quando i potenti dell'epoca concedevano che "semel in anno licet insanire" una volta nell'anno e' lecito folleggiare, pensiero espresso da Lucio Anneo Seneca nel "De Senectute". Il significato del verbo “insanire” sembra doversi rintracciare in quelle feste in cui si capovolgeva l'ordine gerarchico della vita normale, facendo servire i padroni e banchettare i servi.
Anche Orazio e perfino Sant' Agostino sottoscrivevano le follie del Carnevale. Nella Roma di 2.000 anni fa pero' il nome Carnevale non esisteva e questo "insanire" si scatenava durante le feste dei "Saturnalia" in onore di Saturno, il padre degli dei, alla fine del mese di Dicembre, periodo dell' attuale Natale.
Le alchimie della religione cristiana hanno poi rimescolato e rinominato tante se non tutte le feste pagane, declassato e appioppato l' "insanire" dei “Saturnalia” con il nome di Carnevale, a meta' dell'inverno con un farraginoso meccanismo che lo lega alla penitenza della Quaresima e quindi alla Pasqua che e' una ricorrenza mobile.
Il Papato ha comunque dovuto poi tollerare questa ricorrenza di origine pagana, che consentiva, ”semel in anno”, al popolo di esprimere la sua voglia di vivere in liberta', nell' anonimato delle maschere, quasi sempre con corredo di sberleffi e derisione contro il Governo teocratico.
Durante il Carnevale il Cardinale Vicario (che vigilava sui costumi con una lunga gerarchia di monsignori, preti, spie e sbirri, fino ai parroci che avevano funzioni di polizia) doveva "abbozzare" sulle liberta' sessuali che "semel in anno" si sfogavano a tutti i livelli sociali. Tanto che nove mesi dopo le mammane - le levatrici - non sapevano piu' a chi dare il resto, come descrive il Belli con l' istruttivo dialogo del sonetto:
LA MAMMANA IN FACCENNE
«Chi ccercate, bber fijjo?» «La mammana».
«Nun c’è: è ita a le Vergine a rriccojje».
«Dite, e cquanto starà? pperché a mmi’ mojje
je s’è rrotta mó ll’acqua ggiú in funtana».
«Uhm, fijjo mio, quest’è ’na sittimana
che jje se ssciojje a ttutte, je se ssciojje.
Tutte-quante in sti ggiorni hanno le dojje:
la crasse arta, la bbassa e la mezzana».
«E cche vvor dì sta folla?» «Fijjo caro,
semo ar fin de novemmre; e ccarnovale
è vvenuto ar principio de frebbaro.
Le donne in zur calà la nona luna
doppo quer zanto tempo, o bben’o mmale
cqua d’oggni dua ne partorissce una».
31 gennaio 1837
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Versione. La levatrice affaccendata. "Chi cercate, bel figliolo?" La levatrice". "Non c'e': e' andata a via delle Vergini per un parto". "Dite, e quanto stara'? perche' a mia moglie si sono rotte le acque giu' in fontana". "Uhm, figlio mio, questa e' una settimana che si scioglie a tutte, si scioglie. Tutte quante in questi giorni hanno le doglie: la classe alta, la bassa e la media". "E che vuol dire questa folla (di partorienti)?" "Figlio caro, siamo alla fine di novembre; e carnevale e' venuto al principio di febbraio. Le donne alla fine del nono mese dopo quel santo tempo (del carnevale), o bene o male qua (a Roma) ogni due ne partorisce una.
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E veramente in una societa' repressiva, pruriginosa e bigotta come quella imposta nel regno del Papa, era l' unica occasione di liberarsi per una settimana da tutte le regole, l'unica "vacanza" per il volgo romano. A cui partecipava pero' anche tutta la citta' con i nobili, i pochi borghesi e perfino il clero. Tutti, proprio tutti, partecipavano allo sfrenato carnevale romano, senza ritegno alcuno, nascosti dietro la maschera. Liberta' sessuale, sopratutto per le "zitelle", come erano dette le ragazze da marito e in presunto stato di verginita'. Storicamente verosimile il gustoso quadretto dipinto nel film "Il Marchese del Grillo" quando la giovane moglie di un nobile un po' debosciato, durante il carnevale per le strade di Roma si allontana dal suo gruppo per adescare un popolano e farsi una bella scopata in un portone. Nessuna meraviglia poi per la ressa di partorienti dopo i fatidici nove mesi.
Il momento culminante era comunque il martedì grasso al Corso, la strada era il palcoscenico del Carnevale romano, dal tramonto si accendeva “un fiume di fuoco” per l’esplodere della festa dei moccoletti. Alla luce di candele di tutte le fattezze e dimensioni, di lampioncini di carta trasparente accesi sui palchi, sulle finestre, sui balconi e tra carrozze illuminate da candelabri, un’enorme folla in maschera si riversava al Corso e nelle strade limitrofe per celebrare la fine del Carnevale in un crescendo indiavolato di balli, canti e scherzi che sovente si trasformavano per un nonnulla in liti e risse anche cruente.
Ogni romano in mezzo a una confusione indescrivibile, che annullava ogni differenza di classe e di censo, aveva tra le mani o sul cappello oppure in cima a una canna un lumino, cercando di mantenerlo acceso e nel contempo cercando di spegnere quello del suo vicino al grido: “Morammazzato chi non aregge il moccolo!”. Anche dalle finestre e dai balconi del Corso si partecipava a questa battaglia dei moccoletti calando dei panni bagnati con cui spegnere le candele della folla sottostante.
Giggi Zanazzo nelle "Tradizioni popolari romane" scriveva:
"L’urtimo ggiorno de Carnovale ammalappena sonava l’Avemmaria (anticamente sparava puro er cannone), tutti quelli che sse trovaveno p’er Corso, sii a ppiede, sii in carozza, sii a ccavallo, sii a le finestre, accennéveno li moccoletti. Poi co’ le svèntole, co’ li mazzettacci de fiori, o co’ le cappellate, ognuno cercava de smorza’ er moccolo all’antro, dicènno: - Er móccolo e ssenza er móccolo!- Avevi voja, pe’ ssarvallo, de ficcallo in cima a una canna o a un bastone, o a fficcatte in un portone! Era inutile. Tutti te daveno addosso; e o ccor un soffietto, o ccor una svèntola o cco’ ’na manata o ’na mazzettata te lo smorzaveno in ogni modo, urlanno: - Er móccolo e ssenza er móccolo; abbasso er móccolo!".
Il carnevale, che per secoli costituì motivo di ammirato stupore per gli stranieri del “Viaggio in Italia”, con tante bellissime immagini lasciate dai pittori in visita a Roma, moriva con l’ultimo moccolo che si spegneva, ma con la robusta appendice di una cena rigorosamente di grasso nelle osterie fino a mezzanotte in punto, una delle tante "cene a punta d' orloggio", come scriveva in un sonetto il Belli:
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Pe’ mmé vvojjo annà a lletto a ppanza piena
e pprima me darìa la testa ar muro
che cchiude un carnovale senza scena
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Ma prima della battaglia dei moccoletti si svolgeva la corsa dei barberi, cavalli senza cavaliere che dalla “smossa” a piazza del Popolo correvano fino alla “ripresa” di piazza Venezia. C'erano poi i carri allegorici che venivano allestiti dalla famiglie della nobilta' papalina, la cosidetta nobilta' nera, e talvolta anche a cura di famiglie di altri Stati d' Italia, con una ricchezza e uno sfarzo inimmaginabili ai giorni d'oggi, anche perche' spesso erano proprio i nobili stessi a impersonare il protagonista della allegoria prescelta. Grandissima era la partecipazione popolare con lucrosi affari per il noleggio di finestre, balconi e perfino sedie sui marciapiedi rialzati e negli affacci dei portoni sul Corso.
Storicamente il Carnevale romano dei tempi del Belli trae le sue origini dalle medioevali tauromachie e tornei di cavalieri a piazza Navona, allora platea in Agone.
Successivamente si hanno testimonianze de “la ruzzica de li porci” a Monte Testaccio, presso il confine sud-ovest dell'allora confine urbano; qui, oltre ai divertimenti già citati, si praticava una tradizione piuttosto cruenta. Dalla cima della collina artificiale venivano fatti rotolare carretti con a bordo maiali vivi. Nella corsa i carri si rovesciavano e si fracassavano, mentre a valle si radunava una gran folla che si contendeva gli animali in una gigantesca mattanza.
Si deve arrivare verso la meta' del '400 per la definitiva localizzazione del cuore del Carnevale romano al Corso, allora via Lata. Fu per iniziativa di Papa Paolo II, che essendo veneziano, colse l'occasione per inaugurare il suo nuovo Palazzo Venezia, appena terminato di costruire, dal quale poteva comodamente assistere alla “ripresa” della corsa dei cavalli barberi, beato lui!
E nel Corso si svolgeva una competizione bizzarra e decisamente crudele: una corsa lungo il rettifilo di via Lata a cui dovevano partecipare , di volta in volta, zoppi, deformi, nani, e anche ebrei anziani. Il popolo correva ad assistere e non risparmiava irriverenti battute ed il lancio di ogni sorta d'oggetti.
Clemente IX nel 1667 pose fine alla barbarie, che pero' fu sostituita dall'accollo a carico degli ebrei di gran parte delle spese del Carnevale insieme all'onta di una cerimonia ingiuriosa con la quale lo stesso si apriva. Il Rabbino Capo della comunità doveva andare in Campidoglio e inginocchiato davanti al Senatore e ai Conservatori di Roma, pronunciava un discorso di contrizione, al quale il Senatore rispondeva con le parole: “Andate! Per quest'anno vi sopportiamo”, rifilando al capo degli israeliti romani un calcio nel sedere.
I tempi erano decisamente cambiati all'epoca del Belli e l'occasione del Carnevale assumeva anche il ruolo di imprimere un enorme impulso all' asfittica economia della citta', con il noleggio delle maschere, la vendita dei confetti: piccoli proiettili di gesso colorato che si lanciavano reciprocamente le maschere e che si frantumavano creando variopinte macchie di colore un po' dapertutto e degli sbruffi, gli attuali coriandoli. Osti e locandieri poi erano indaffarati per le nominate cene pantagrueliche “a punta d'orloggio”, a cui nessun romano, o forestiero, voleva rinunciare. Le carrozze dei signori erano poi rivedute dal “facocchio” , l'antenato del moderno carrozziere, che le restaurava e addobbava per 'occasione, come recita il sonetto L’ordinazzione p’er Carnovale:
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J’ho da annà dar facòcchio sott’all’arco,
pe vvisità li leggni e accommodalli:
poi da padron Cremente er maniscarco
pe rrimette li ferri a li cavalli. . . .
poi ggiú pp’er corzo a accaparrajje un parco:
ortre un antro ar festino pe li bballi. . .
15 febbraio 1847
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Versione. Le ordinazioni per il Carnevale. Debbo andare dal carrozziere sotto l'arco per controllare le carrozze e aggiustarle: poi da padron Clemente il maniscalco per rimettere i ferri ai cavalli . . . poi giu' al Corso per prenotare un palco e anche un altro al festino per i balli...
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Insomma tutta l'economia romana subiva una benefica iniezione energetica dalle attivita' che ruotavano intorno al Carnevale.
Il Carnevale a Roma era dunque un momento di pura e costosa follia collettiva, del popolo come delle classi elevate. Ma anche in altri paesi era celebrato con feste e intemperanze talvolta estremamente pericolose, fin dalla notte dei tempi. Vediamo cosa avvenne al Carnevale di Carlo VI re di Francia nel gennaio 1393 allorché, durante I festeggiamenti il re mascherato da orso insieme ad altri cinque nobili, vestiti in costume da selvaggi e incatenati l'uno all'altro stavano ballando. Una torcia dette fuoco all'abito di uno di essi e in pochi istanti, narrano le cronache, le fiamme divamparono e bruciarono vivi gli sventurati, fortunato a salvarsi fu proprio il solo Carlo VI.
I festeggiamenti a Roma non erano pero' affatto garantiti: ogni anno si doveva attendere l' editto del Papa che concedeva la licenza del loro svolgimento. In genere negli anni di Giubileo l'intero programma veniva soppresso e sostituito da celebrazioni liturgiche. Anche la morte di un papa poteva far sospendere le feste (ad esempio quella di Leone XII, nel 1829, costò ai romani il Carnevale di quell'anno).
Inoltre durante questi giorni molti papi temevano rivolte, perché la possibilità di circolare col volto coperto da maschere creava problemi di ordine pubblico. Quindi ogni scusa era buona per abolire le feste in costume. Ad esempio nel 1837 Gregorio XVI vieto' il Carnevale per il pericolo del colera come il Belli scrisse nel sonetto Er carnovale der '37 :
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Oggi arfine per ordine papale
Cor protesto e la scusa der collèra,
Ma ppe un'antra raggione un po' ppiù vera
Er Governo ha inibbito er carnovale.
20 gennaio 1837
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Ancora Gregorio XVI, temendo la presenza di liberali, carbonari e framassoni con i loro ricorrenti tentativi rivoluzionari, arrivo' a eseguire arresti preventivi di massa per scongiurare che i piu' noti facinorosi potessero attizzare le fiamme della sommossa. Come racconta il Poeta in quest'altro sonetto:
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ER MEDICO DE ROMA
Un Medico bbruggnano ha vvisitati
scent’ommini, e ll’ha mmessi a lo spedale:
mica cche ssiino st’ommini ammalati,
ma ppe impedijje che nnun stiino male.
Potríano ammascherasse a ccarnovale,
e accusí, ddioneguardi, ammascherati
pijjasse una frebbaccia accatarrale,
e mmorí, ddioneguardi, accatarrati.
«Bbisoggna prevedelli li malanni»,
lui disce; «e a ttemp’e lloco un lavativo
conzerva er culo e ffa ccacà ccent’anni».
Sto dottore chi è? ccome se chiama?
Er nome nu lo so, ma sso cch’è vvivo
e sta ar Palazzo de Piazza Madama.
24 gennaio 1833
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Versione. Il medico di Roma. Un medico Browniano (un tipo di medicina alternativa in voga ai primi '800) ha visitato cento uomini e li ha messi all' ospedale: non perche' questi uomini siano ammalati, ma per impedire che stiano male. Potrebbero mascherarsi a Carnevale e cosi, dio ne guardi, mascherati prendersi una febbraccia catarrale e morire, dio ne guardi, accatarrati. "Bisogna prevederli i malanni", lui dice "e a tempo e a luogo una purga conserva il culo e fa cacare cento anni". Chi e' questo dottore? come si chiama? Il nome non lo so, ma so che e' vivo e sta al Palazzo di Piazza Madama (il Palazzo della Polizia).
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Strana consonanza, arresti preventivi e purghe, fra le procedure di polizia del Papa-re e del Duce del fascismo. E ancora nel 1834, quando si temevano divieti per le feste di Carnevale, (nell’anno precedente il Governo aveva vietato le maschere) in un altro sonetto il Poeta scrive:
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Ce saranno le maschere quest’anno?
A me me dice er mozzo de Caserta
Che lui ha inteso a dì ppe cosa certa
Da ‘na spia amica sua, che ce saranno.
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Poi, al solito, anche quell'anno ci furono limitazioni d'ogni tipo ai festeggiamenti. Con le consuete violente proteste del popolo.
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IMMAGINI. 1. Ultima sera di Carnevale. I moccoletti dovevano essere tenuti bene in alto, perché non venissero spenti per gioco dalle altre maschere (A.Pinelli). 2. Le maschere più popolari a Roma all'epoca del Belli in un'antica stampa. Si noterà che, come per le carte da gioco, Roma era ed è priva, o quasi (il Rugantino è una maschera piuttosto tarda), di maschere sue, ma doveva e deve ricorrere alle varie maschere regionali italiane. Chi dice oggi, mentendo, che in Italia non c'era un sentimento unitario prima della proclamazione dell'Unità nel 1861, e poi dell'entrata in Roma dell'esercito italiano nel 1870, è smentito se non altro dagli usi popolari. Nel suo piccolo, il Carnevale, per esempio, aveva già unificato l'Italia. 3. Carnevale al Corso in un dipinto dell'800.
 
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