5 gennaio 2011

Befana. Se i regali sono troppo cari, li faccio un altro giorno.

Quanta gente in giro, e tutta per i regali! Se oggi ti azzardi a seguire la folla, insomma a fare quello che fanno tutti, e fai l’errore di entrare in una bottega di giocattoli o di dolci, ci resti secco. I negozianti hanno il coltello dalla parte del manico in questo giorno, e per tutta la notte. Prendere o lasciare. Chiunque voglia comperare anche il più piccolo giocattolo deve sottostare al loro prezzo. Di Befana ce n’è una, dopotutto, e questo i bottegai lo sanno benissimo. E sanno anche che domani è troppo tardi. Ma se la merce, dopo la festa, gli resterà sugli scaffali? Per loro è un dramma, e per ridurre le perdite dovranno svendere. Allora, sai che ti dico, i regali per la Befana ai figli non glieli faccio domani, ma fra otto giorni. Così imparano quei bottegai della malora. Fra otto giorni i prezzi saranno molto più bassi: spenderò baiocchi anziché zecchini. Ma sì, solo uno scemo potrebbe cascarci.
      Questo l’originale ragionamento economico, certamente logico ma insensato, che un romano dei tempi del Belli fa nell’attualissimo e gustoso sonetto dedicato al giorno precedente l’Epifania, festa molto popolare che nella Roma d’un tempo era più sentita dello stesso Natale, anche perché i regali si usava farli il 6 gennaio, non il 25 dicembre:

LA VIGGIJJA DE PASQUA BBEFANIA
La bbefana, a li fijji, è nnescessario
de fajjela domani eh sora Tolla?
In giro oggi a ccrompa’ cc’è ttroppa folla.
A li mii je la fo nne l’ottavario.
A cchiunque m’accosto oggi me bbolla:
e ccom’a Ssant'Ustacchio è cqui ar Zudario.
Dunque pe st’otto ggiorni io me li svario;
e a la fine, se sa, cchi vvenne, ammolla.
Azzeccatesce un po’, d’un artarino,
oggi che ne chiedeveno? Otto ggnocchi;
e dd’una pupazzaccia un ber zecchino.
Mò oggnuno scerca de cacciavve l’occhi;
ma cquanno sémo ar chiude er butteghino,
la robba ve la dànno pe bbajocchi.

6 gennaio 1845

Versione. La vigilia di Pasqua Epifania. La befana (cioè i doni che si fanno per l'Epifania, Vigolo), ai figli, è necessario fargliela domani eh signora Tolla (diminutivo di Vittoria)? In giro oggi a comperare c’è troppa folla. Ai miei figli gliela faccio tra otto giorni. Qualunque bottega a cui mi avvicino oggi, mi dà una batosta: è così ovunque, a Sant’Eustachio come qui al Sudario. Dunque per questi otto giorni io li distraggo (i figli, con qualche scusa); e alla fine, si sa, chi vende deve cedere. Indovinate un po’ per un altarino oggi che cosa m’hanno chiesto? Otto scudi; e per una bambola scadente un bello zecchino. Ora ognuno cerca di cavarvi gli occhi (prendervi per il collo, scrive il Vigolo); ma quando saremo alla chiusura del botteghino, la roba ve la danno per pochi baiocchi.
Altro che re Magi. Sulla leggenda evangelica si è sovrapposta nei secoli la più antica leggenda pagana della Befana, di maggior impatto psicologico sui bambini. Ma perfino per gli adulti, l’Epifania era ancora nell’Ottocento una ricorrenza così sentita da essere preceduta addirittura dal termine di “Pasqua”, forse perché attesa da tutti.
      "Er giorno de Pasqua Bbefania, che vviè a li 6 de gennaro – scriveva il grande Giggi Zanazzo – da noi, s’aùsa a ffasse li rigali. Se li fanno l’innamorati, li spòsi, ecc. ecc. Ma ppiù dde tutti s’ausa a ffalli a li regazzini. Ortre a li ggiocarèlli, a questi, s’ausa a ffaje trovà a ppennòlòne a la cappa der cammino du carzette, una piena de pastarèlle, de fichi secchi, mosciarèlle, e un portogallo [arancia, NdR] e ‘na pigna indorati e inargentati; e un’antra carzètta piena de cennere e ccarbòne pe’ tutte le vorte che sso’ stati cattivi"
("Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma”, 1889).
      Lo spettacolo migliore avveniva dentro casa, anzi tra letto e cucina, per via della notte e della cappa del camino, essenziale per la discesa della Befana e la mostra dei regali. "La sera de la viggija de la Bbefana, a ttempo mio – dice Zanazzo – li regazzini se manneveno a ddormi’presto, e sse ffacevano magnà ppoco pe’ ffaje lascià una parte de la céna a la Bbefana".
      I bambini, nonostante molti di loro fossero terrorizzati dalle leggende e dalla messinscena (v. incisione del Pinelli in alto) erano i veri protagonisti. Nelle famiglie dei popolani il giorno dell’Epifania “si usa esporre al camino della casa i denti che cadono a’ bambini, onde la Befana vi sostituisca qualche moneta” (il Belli in nota al Sonetto “La guittaria II” del 1831).
      "Nelle vecchie famiglie – riporta un altro cronista romano – le costumanze perdurano; sicché i bambini lasciano volentieri parte della loro cena alla Befana, che dovrà scendere dalla cappa del camino coi suoi befanini, per portare dal lontano paese di Befania i dolci e i giuocattoli da tanto tempo desiderati, come premio della diligenza nello studio, dell’amore e del rispetto ai genitori. Ogni bambino ha già scritto alla Befana una letterina commoventissima, nella quale domanda quei ninnoli che vide, passeggiando colla mamma, nella tale vetrina di un chincagliere, e che più colpirono la sua fantasia. Ma la Befana è inesorabile, poiché tiene il registro di tutte le mancanze di ogni fanciullo, e, a chi non lo merita, invece di dolci e giuocattoli, lascia una calza piena di cenere e carbone. Ed allora quel fanciullo che non fu buono in famiglia e studioso in iscuola, rimpiange inutilmente la sua disubbidienza e la sua pigrizia; e si ripromette, nel venturo anno, di meritare tutti i favori della severa Befana (Francesco Sabatini, 1890).

 LA NOTTE DE PASQUA BBEFANIA 
Mamma! mamma! - Dormite. - Io nun ho ssonno.
Fate dormì cchi ll'ha, ssor demonietto.
Mamma, me vojj' arza’. - Ggiù, stamo alletto.
Nun ce posso sta’ ppiù; cqui mme sprofonno.
Io nun ve vesto. - E io mò cchiamo nonno.
Ma nun è ggiorno! - E cche mm'avevi detto
che cciamancava poco? Ebbè? vv'aspetto?
Auffa li meloni e nnu li vonno!
Mamma, guardat’ un po’ ssi cce se vede?
Ma tte dico cch’è nnotte. - Ajo! - Ch'è stato?
Oh ddio mio!, m'ha ppijjato un granchio a un piede.
Via, - 'Statte zitto, mò attizzo er lumino.
Sì, eppoi vedete un po' cche mm'ha pportato
la bbefana a la cappa der cammino.
6 gennaio 1845

Versione: La notte di Pasqua Epifania. Mamma! mamma! - Dormite. - Io non ho sonno. Fate dormire chi ce l'ha, signor demonietto. Mamma, mi voglio alzare. - Giù, stiamo a letto. Non ci posso stare più; qui mi sprofondo. Io non vi vesto. - E io ora chiamo nonno. Ma non è giorno! - E che mi avevate detto, che ci mancava poco? Ebbene? Vi aspetto? Uffa, i meloni gratis, e non li vogliono! (Gioco di parole, secondo Vigolo, tra "uffa" della madre spazientita e auffa, a ufo, cioè gratis, del verso dei venditori di meloni. Sia pure, ma mi sembra più sensato interpretare il senso generale della frase, diventata proverbio, così: Ma come - dice la madre al bambino - ti permetto di stare a letto più a lungo, cosa sempre desiderata da ogni bambino, te compreso, e tu non vuoi? ). Mamma, guardate un po’ se ci si vede (cioè se fuori c'è luce, se è già l’alba). Ma ti dico ch’è notte. - Ahi! - Ch'è stato? Oh dio mio!, m'ha preso un crampo a un piede. Via, - Sta’ zitto, ora accendo il lumino. Sì, e poi vedete un po' che cosa mi ha portato la befana a la cappa del camino.

Questo sonetto è uno dei migliori dell'ultimo periodo, sostiene il Vigolo con un'enfasi forse eccessiva. "Non più il greve vernacolo, procace, barocco, a momenti surrealista, della prima scoperta del romanesco, ma la sua stessa pronunzia familiare, addolcita e fatta più lieve. Anche la rappresentazione del bambino impaziente di vedere sorgere l'alba è una pittura delicatamente lirica, in cui non v'è più traccia di satira o di tensione irosa nell'animo, ma si scorge lo stesso sorriso paterno che è nel son. La Banna de Termini del 3 gennaio '45 ..."
      Ma torniamo alla ricorrenza della Befana, che poteva essere un incubo per i genitori più indigenti, visto che anche allora, anzi soprattutto allora, i giocattoli erano molto costosi, come abbiamo visto nel primo sonetto. Pochi sanno, perfino tra i romani, che “la bbardoria che sse fa adesso a Ppiazza Navona tempo addietro se faceva a Ssant’Ustacchio e ppe’ le strade de llì intorno”, spiega Giggi Zanazzo. “In mezzo a ppiazza de li Caprettari ce se faceva un gran casotto co’ ttutte bbottegucce uperte intorno intorno, indove ce se vennévano un sacco de ggiocarèlli, che èra una bbellezza. Certi pupazzari, metteveno fòra certe bbefane accusì vvere e bbrutte, che a mme, che ero allora regazzino, me faceveno ggelà er sangue da lo spavento!".
      Fu stranamente con l’Italia unita e Roma liberale che le bancarelle per la Befana furono trasferite nella vicina e molto più grande piazza Navona, non appena terminati nel 1872 i lavori di pavimentazione con i famosi "sampietrini", cubetti non di porfido, come comunemente si ritiene, ma di leucitite, pietra lavica laziale di color grigio scuro, così chiamati perché impiegati per la prima volta in piazza San Pietro. Arrivò anche l’illuminazione a gas. Sul bordo dell’enorme marciapiede centrale, che sostituiva l’incavo originario, furono allestiti a cura del Comune un centinaio di casotti di legno. Insomma, il nuovo Stato portava ordine e pulizia, ed ampliava anche la festa, dandole la cornice della piazza più bella.
      E, incredibile da credersi, perfino il Papa, anziché darlo, riceveva il regalo dell’Epifania. Era uso, fino al 1802, che il Pontefice la mattina della Befana ricevesse in dono cento scudi d’oro dall’antico Collegio dei “novantanove scrittori apostolici”. Nel corso di una cerimonia rituale, uno di loro, dopo aver pronunciato un’allocuzione in latino, poneva il suo tributo in una coppa d’argento, immaginiamo, con un rumore squillante, che alla fine il cardinale pro-datario consegnava al Papa. Questi, solo allora concedeva agli scrittori il bacio della pantofola.
      Dal che si possono trarre due conseguenze: che quei benedetti “scrittori apostolici” dovevano essere così tromboni e così raccomandati da dover ogni anno pagare uno scudo d’oro di tassa, pur di essere conservati nella carica onorifica che probabilmente non meritavano. Del resto, che nella Chiesa apostolica romana le cariche si vendessero è noto da sempre. In secondo luogo, i conti al cardinale pro-datario non tornano: cento dovevano essere gli scudi d’oro nella coppa d’argento, ma i sapienti erano solo 99. Solite irrazionalità astruse della Chiesa, direte voi. Ergo: a meno che non ci dovesse rimettere uno scudo di tasca sua il cardinale (con la tirchieria e l'avidità che avevano i cardinali...), uno dei cosiddetti "scrittori", il più giovane o il più sfortunato o il meno raccomandato, doveva pagare 2 scudi anziché uno. Pensate che Befana, per lui…

IMMAGINI. La Befana in casa e in piazza (due incisioni di Bartolomeo Pinelli, contemporaneo del Belli).
AGGIORNATO IL 6 GENNAIO 2019

1 commento:

Luisa Pierantonelli ha detto...

All'improvviso, quando ero adolescente un'eccellente operazione di marketing ha fatto scomparire la Befana dalle case dei romani e, con una certa prepotenza, è sceso giù dal camino babbo Natale, creando un pò di confusione nell'immaginario ... [commento sul link di questo articolo su Facebook]

 
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