10 luglio 2010

A ognuno il suo rischio: il volo, la notte, il cavallo, il maiale!

Te la sei cercata? Allora, neanche Dio può farci nulla: Qui amat periculum, peribit in illo. E’ il latinorum dei preti, che sentenzia: chi ama il pericolo, in esso morirà. La morale cattolica è proprio il contrario di quella tipica dei Paesi anglosassoni e protestanti, amanti del rischio. Nel Trattato di Teologia Ascetica e Mistica si spiega infatti: “Dio non soccorre chi volontariamente, senza necessità si mette in pericolo…”
Il Belli si sofferma sul tema del pericolo, della morte e della fatica di vivere del popolo di Roma. Fatica e pericolo dovuti sia a mestieri di per sé a rischio, sia al degrado della città e alle leggi liberticide di uno stato feudale.
Il sonetto per l'incidente mortale allo scozzone (lo scozzone era il cavalcante, servo che accompagnava a cavallo il padrone), e' cronaca asciutta, con una venatura di dolorosa fatalita', legata al pericolo che incombe sul protagonista: "Morte certa, ora incerta", direttamente legata alla fatica di vivere nella Roma dei primi '800.
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LO SCOZZONE
Tu ssai dov’è Ssan Nicola in Narcione:
bbè, a la svortata llí der Gallinaccio
er cavallo je prese un scivolone,
turutuffete, e llui diede er bottaccio.
Ecco si cche vvor dí mmontà un sturione,
mette la vita in mano a un cavallaccio:
coll’antri è annato via sempre bbenone:
co cquesto è ito ggiú ccom’uno straccio.
Restò ggelato, povero Cammillo!
Ce s’incontrò er decane de Caserta
che nu l’intese fà mmanco uno strillo.
Disce Iddio: Morte scerta, ora incerta:
chi er risico lo vò, ribbinitillo
omo a ccavallo sepportur’uperta.

22 gennaio 1832
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Versione. Lo Scozzone (il cavalcante). Sai dov'e' San Nicola in Arcione (chiesa oggi scomparsa): all'incrocio con via del Gallinaccio il cavallo scivolo' , turutuffete (espressione per il rumore di una caduta) e lui cadde pesantemente. Ecco cosa vuol dire montare uno sturione (cavalo magro e macilento), mettere la vita nelle mani di un cavallaccio: con gli altri andava via sempre benone: con questo e' andato giu' come uno straccio. Resto' morto sul colpo, povero Camillo! ci si incontro' il capo dei servitori del Duca di Caserta che non gli senti' fare neanche uno strillo. Dice Dio: morte certa ora incerta: qui amat periculum, peribit in illo (chi ama il pericolo in esso perira'): uomo a cavallo sepoltura aperta (tre diversi proverbi).

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Quest' ultima terzina si puo' collegare a tanti fatti di cronaca dei nostri giorni: ad esempio la morte di Pietro Taricone nel corso di un lancio con paracadute, o quella quasi contemporanea del ragazzino Francesco di 13 anni che forse praticava sul tetto della scuola il parkour, una pericolosa disciplina metropolitana acrobatica.
Il primo era l'epitome del ragazzo che ce l'aveva fatta, diventato famoso dopo la partecipazione alla prima edizione del Grande Fratello con il suo atteggiamento da macho, ma anche da filosofo popolare, che lo aveva fatto amare dal pubblico di giovani e adolescenti. “Mi sento come una barchetta che è stata trainata al largo dal Titanic, da questa corazzata che è la televisione: e ora come ci torno a riva?” disse nella sua prima intervista, rilasciata a Curzio Maltese.
Forse lo ha portato a una fine prematura la sua predilezione per gli sport rischiosi, e' rimasto vittima di volontaria ritardata apertura del paracadute durante una discesa acrobatica, il desiderio di impersonare compiutamente il suo ruolo alla Bruce Willis, insomma un eccesso di confidenza nelle sue capacita' da Superman.
Il secondo, il ragazzino di 13 anni che era salito di notte con un compagno sul tetto della sua scuola, caduto da un' altezza di 12 metri per la rottura di un lucernario. Una delle ipotesi e' che anche lui si stesse cimentando al buio in una specie di sport che comporta grande abilita', riflessi prontissimi e un bel po' di rischio di farsi male.
Sembra che siano molti gli studenti che, sia di giorno che di notte, salgono, o forse e' meglio dire salivano, sulla sommità di quella scuola. Alcuni provano il brivido di saltare da un tetto all’altro praticando questo “parkour”, disciplina metropolitana che consiste nel portare a termine percorsi estremi con salti e passaggi acrobatici. I ragazzi girano dei video con i loro telefonini e poi li caricano su Youtube.
Cosa ci fa associare questi due tragici avvenimenti? Il desiderio di confrontarsi con il pericolo, da sempre presente nel DNA dell'uomo. Il successo del macho nel senso piu' lato: con le donne, con la carriera e i soldi, sbattuto in faccia alle nuove generazioni dai mass media. La vita troppo monotona della gente comune, il desiderio di emergere comunque, o comunque di emulare chi emerge. La mancanza dei tradizionali pericoli nella vita moderna. Ricordiamo i secoli bui dell' Europa attraversata da guerre che duravano per intere generazioni, la guerra dei cento anni tra Francia e Inghilterra, dal 1337 al 1453, quella dei trenta anni, dal 1618 al 1648 in tutta Europa, che avevano veramente spopolato interi paesi. Per non parlare delle due guerre mondiali del secolo scorso.
Sembra agli psicologi che oggi il surrogato della guerra sia il pericolo fai da te. L' invenzione di bravate come il passeggiare sui tetti dei treni in corsa, lo sdraiarsi sui binari in attesa che passi un treno, possibilmente merci, per evitare le deiezioni dai gabinetti.
Pietro e Francesco sono insomma stati vittime della loro ricerca del rischio. Il rischio esiste nella vita di oggi, ma andarselo a cercare insieme ad amici e colleghi in situazioni, o codificate da una disciplina, come il paracadutismo, o di novissima invenzione come il parkour, e' veramente speciale e di grande attrazione. Ma, abbiamo visto, anche di grandissimo pericolo.
Ma torniamo alla vita nella Roma dei primi '800. Il pericolo di perderla era legato alla professione, alle insidie di briganti e malfattori, a imprevedibili risse che potevano scoppiare, come anche oggi, per futili motivi. E ogni vero popolano romano portava il coltello. Ma anche per il semplice arrischiarsi di andare per la citta' di notte, nel buio piu' completo e totale, come racconta il sonetto:
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CHI VA LA NOTTE, VA A LA MORTE
Come sò lle disgrazzie! Ecco l’istoria:
co cquell’infern’uperto de nottata
me ne tornavo da Testa-spaccata
a ssett’ora indov’abbita Vittoria.
Come llí ppropio dar palazzo Doria
sò ppe ssalí Ssanta Maria ’nviolata,
scivolo, e tte do un cristo de cascata,
e bbatto apparteddietro la momoria.
Stavo pe tterra a ppiagne a vvita mozza,
quanno c’una carrozza da Signore
me passò accanto a ppasso de bbarrozza.
«Ferma», strillò ar cucchiero un zervitore;
ma un voscino ch’escì da la carrozza
je disse: «Avanti, alò: cchi mmore more».
21 gennaio 1832
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Versione. Chi va di notte, va alla morte (proverbio). Come accadono le disgrazie! Ecco la storia: con quella notte d'inferno me ne tornavo da Testa spaccata, (contrada di Roma scomparsa per costruire il monumento a Vittorio Emanuele II) a sette ore dopo l'avemaria (le ore si contavano a partire dall'avemaria, e percio' variavano con le stagioni, circa la mezzanotte a Gennaio) dove abita Vittoria. Quando proprio al palazzo Doria sto per salire ( il livello del Corso era molto piu' basso a quei tempi e c'erano alcuni gradini) a Santa Maria in Via Lata, scivolo fo una bruttissima caduta e batto la parte posteriore della testa ( dove si credeva fosse la memoria del cervello). Mentre stavo a piangere a terra come una pianta di vite recisa (che dia gocce di linfa) mi passo' accanto una carrozza signorile a lento procedere. Ferma, strillo' al cocchiere un servitore, ma una vocetta che usci' dalla carrozza gli disse: avanti , andiamo, chi muore muore.

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Un altro elemento di pericolo poteva esistere durante violenti temporali; molte strade di Roma non avevano fognature per la raccolta dell'acqua piovana, che scorreva nelle "pianare", in pratica al centro della strada, che potevano trasformarsi in un vero e proprio torrente, con il rischio di trascinare a fiume il malcapitato.
Oggi rischi del genere ci fanno sorridere, almeno a Roma, mentre ai nostri giorni il dissesto idrogeologico si porta via paesi interi costruiti con troppa disinvoltura.
A proposito di attivita' sportive, anche ai tempi del Belli esistevano avvenimenti popolari e sport estremi, molto pericolosi.
La corsa dei cavalli berberi da piazza del Popolo a piazza Venezia durante il carnevale era un avvenimento paragonabile alla antica, ma ancora attuale, corsa dei tori di Pamplona in Spagna. Specialmente alla fine della corsa, alla "ripresa", potevano avvenire incidenti anche molto gravi con persone travolte dai cavalli, tanto che anche il Belli ne fa cenno, parlando di un noto medico che si andava a posizionare dallo speziale Cesanelli in posizione strategica vicino alla "ripresa", per assistere clienti bisognosi di cure o di trasporto in ospedale, una specie di pronto soccorso fai da te.

LA SERVA DER CERUSICO
Nun c’è er padrone: ha avuta una chiamata
pe ccurre a ffà ar momento ’na sanguiggna,
a Ppasquino a ’na pover’ammalata,
c’ho intes’a ddí cche ssii frebbe maliggna.
Eppoi pijja un straporto e vva a ’na viggna
for de ’na scerta porta ch’è sserrata,
a ccurà ’na cratura co la tiggna,
che da un mese nun l’ha ppiú vvisitata.
A pproposito!... oggi entra carnovale!
Ebbè, vvoi lo trovate a or de Corza
drento da Scesanelli lo spezziale.
Ché oggn’anno in quer frufrú dde la ripresa
quarche ddisgrazzia ha d’accadé ppe fforza,
e ppe ggrazzia de ddio s’è ssempre intesa.
22 marzo 1834
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Versione. La domestica del cerusico. Il padrone non c’è: ha avuto una chiamata per correre a mettere subito una sanguisuga a piazza Pasquino [nota statua “parlante”] ad una povera ammalata, che ho sentito dire abbia la febbre maligna. Poi prende una carrozza e va in campagna uscendo da una porta [di Roma] che è sempre chiusa [nota il Belli: Le porte disusate di Roma sono la Pinciana, la Fabbrica e la Castello, la prima sotto il Pincio, la seconda presso la Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, e la terza accanto alle fosse del Castello, già Mausoleo di Adriano] per curare una bambina con la tigna, che da un mese non l’ha più visitata. A proposito, oggi entra il Carnevale! E allora lo troverete all’ora della Corsa [quando i cavalli berberi sciolti correvano all’impazzata lungo il Corso] nella farmacia Cesanelli. Perché ogni anno in quella confusione della ripresa [i cavalli venivano fermati da coraggiosi cavallari, ma spesso c’erano feriti e calpestati, anche tra i passanti] qualche disgrazia accade per forza, e per grazia di Dio c’è sempre stata.
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Altro sport pericoloso era l'ascensione in mongolfiera. Il primo volo fu dei fratelli Montgolfier nel 1783 a Parigi. I Montgolfier erano fabbricanti di carta e i primi "globi aerostatici" erano per l'appunto di carta, sopra il cui involucro era distesa una rete da pescatori che consentiva una certa resistenza durante il volo. Anche a Roma vi furono alcune ascensioni a meta' dell ' 800. Nel 1853 Luigi Piana muore per ipossia (mancanza di ossigeno) su un pallone a doppia camera in volo su Roma. E anche un’altra tragedia impressionò tutti. Pio IX, che presso il popolo aveva fama di jettatore, aveva dato la sua paterna benedizione per una ascensione e il pallone aerostatico cadde rovinosamente con la morte degli aeronauti, tanto che lo stesso Papa si astenne da autorizzare, e sopratutto benedire, altre ascensioni per lungo tempo.
Ma c’era anche chi, uomo di potere della Chiesa abituato a vivere tra gli agi, non correva il rischio di camminare a piedi di notte, di coprirsi di gloria in battaglia, di salire eroicamente in pallone, tantomeno di montare un cavallo bizzarro. Al massimo si abbuffava fino a scoppiare d’indigestione. Un pericolo adatto ai cardinali di Santa Romana Chiesa, quello della morte per intemperanze alimentari. Per loro la fatica di vivere e' la fatica a digerire, insinua il caustico Belli, che sull’avidità dei prelati, anche per il cibo, intinge spesso i crostini nei suoi saporiti sonetti. Come nei quattro per la morte del cardinale Placido Zurla, Vicario di Gregorio XVI, "er cardinal camannolese" che sono festosi, quasi celebrativi per la scomparsa di un odiato personaggio, visto come la peggiore espressione dell’avidità del potere temporale del papato. E dire che il Cardinale Vicario vigilava sui costumi!
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Sí, amichi, finarmente stammatina
s’è sparza la staffetta da per tutto
che ss’è vvotato er zacco de farina,
che ss’è squajjato er vesscigon de strutto.
...
Un po' ppiú cche ccampava er Cardinale,
er vino che sse trova a sto paese
nun arrivava manco a ccarnovale
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Versione. Si amici finalmente stamattina si e' sparsa la notizia che si e' vuotato il sacco di farina, che si e' liquefatto il vescicone di strutto (il Cardinale era un omone, forte mangiatore e bevitore). Se il Cardinale avesse vissuto piu' a lungo, il vino del Vaticano non sarebbe arrivato neanche a carnevale.

Ma, a proposito di cardinali, indovinate che fine poco gloriosa fa un altro cardinale, che invece di montare qualche cavallo bizzarro o scozzone, preferisce scozzonare (cioè montare e domare) una ugualmente bizzosa marchesa sposata, a quanto lascia intendere un maligno servitore. Ma, ecco il busillis, rischia di morire (o muore, non è chiaro) per la grande abbuffata a tavola, come mostra di credere il Belli, o per il troppo sesso con la marchesa, o per aver fatto a piedi le Sette Chiese, oppure per tutti e tre gli strapazzi insieme?

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ER CARDINALE
M’ha ddetto er zotto-coco der Marchese
che cquer zervo-de-ddio der Cardinale
che cce pranzava trenta vorte ar mese,
e annava ogni tantino all’urinale,
cuer giorno c’annò a ffà le sette cchiese
se magnò ccinque libbre de majale:
e a mmezzanotte te je prese un male
senza poté ccapí ccome je prese.
Presto du’ preti la matina annorno
a ffà escì er Zagramento e ddì orazzione
pe tutti li conventi der contorno.
A sta nova la mojje der padrone,
che svejjonno abbonora a mmezzoggiorno,
ce se fesce pijjà le convurzione.
22 gennaio 1832
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Versione. Il cardinale. Mi ha detto il sotto-cuoco del marchese che quel “servo di Dio” del cardinale, che vi pranzava trenta volte al mese, e andava ogni tanto a urinare, quel giorno in cui andò a fare le visite alle Sette Chiese [“Divozione molto in voga a Roma, premiata – nota il Belli – con gran ricchezza d’indulgenze, e terminante come quasi tutte le altre in un cristiano banchetto”], si mangiò cinque libbre di maiale, e a mezzanotte gli prese un male di cui non si riuscì a capire la causa. La mattina presto due preti andarono a far uscire il Sacramento e a dire orazioni per tutti i conventi dei dintorni. A questa notizia la moglie del padrone, che svegliarono presto, a mezzogiorno, fu presa dalle convulsioni.
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Certo, che mangiare con la marchesa “trenta volte al mese” come spiffera il domestico, voleva dire che il signor Cardinale di Santa Madre Chiesa di fatto conviveva con la signora Marchesa. E che il signor Marchese, pace all’anima sua, lungi dall’essere volgarmente un cornuto, era forse, più astutamente di un diplomatico, capace di assentarsi nei momenti opportuni, insomma un “marito della moglie del cardinale” (v. sonetto).
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IMMAGINI. 1. La prima ascensione in pallone aerostatico documentata in Italia è quella di Paolo Andreani e dei fratelli Gerii a Brugherio (Milano) nel 1784 (stampa da M.Majrani, Aerostati, Edizioni dell'Ambrosino, Milano). Il governatore austriaco e l'imperatore Giuseppe II d'Austria, pur presente in città, si rifiutarono di assistervi, perché uno spettacolo così "ardito", quasi una sfida alle leggi della Natura, lo ritenevano moralmente riprovevole. 2. La caotica "ripresa" dei cavalli selvaggi (berberi o barbari) alla fine del Corso, a piazza Venezia (A.Pinelli, 1835 ca).

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