12 giugno 2010

La moltiplicazione di posti e pensioni, vero miracolo dei Papi.

COME "RISPARMIARE" MOLTIPLICANDO I POSTI. Sentite questa. Una legge istituisce a Roma 14 circoscrizioni comunali, insomma 14 municipi locali, corrispondenti ai rioni. Sono troppi per il costo che hanno e per quello che fanno? E’ vero: ecco che qualche anno più tardi arriva un’altra legge che accorpandoli a due a due riduce i municipi a 7. E’ un bel risparmio, direte voi.
Nient’affatto, perché gli impiegati delle 7 circoscrizioni soppresse continuano a fruire di stipendi, anzi di pensione.
      Ma non basta: un terzo Governo ci ripensa e ripristina la situazione quo ante dei 14 municipi locali.
      E va be’ - sbufferete, cominciando a perdere la pazienza - almeno siamo sicuri che saranno richiamati in servizio quei 7 funzionari già messi a riposo.
Ma neanche per sogno, si vede che venite dalla luna: il nuovo Governo, state pur sicuri, per motivi clientelari ed elettoralistici, assumerà 7 apparati burocratici del tutto nuovi, che addestrerà nuovamente da zero e pagherà con altri lauti stipendi. Eppure, avrebbe potuto utilizzare quelli in esubero che già pagava. Invece, così saranno a carico dello Stato ben 21 funzionari. "E’ il bello dell’impiego pubblico, bellezza!"
Insomma, è una legge inesorabile: il numero dei burocrati, qualunque siano le "riforme" o i "tagli" per risanare il bilancio, insomma qualsiasi cosa accada, tenderà sempre ad aumentare. Un po’ come il prezzo della benzina, che in mano agli oligopolisti del petrolio, nello zig-zag di rincari-riduzioni-rincari, tende comunque a salire.
      Una storia d'oggi? Macché, è un sonetto del Belli, attuale come pochi, in tempi di crisi economica, di velleitari "risparmi", di lotta puramente verbale e populistica agli sprechi pubblici, di tagli alle burocrazie elefantiache e parassitarie più minacciati che reali (e, se reali, effettuati in modo stupido). Insomma, l’eterno Gattopardo amministrativo: tutto cambia, perché nulla cambi. Ma leggiamo il sonetto:

.LI SPARAGGNI
Vivenno papa Pio messe uguarmente
a Rroma un Presidente per urione.
Come fu mmorto lui, papa Leone
ristrinze oggni du’ urioni un Presidente.
Ma a li sette scartati puramente
je seguitò a ffà ddà la su’ penzione.
Poi venne un antro Pio d’antra oppiggnone
c’arimesse cuer ch’era anticamente.
Però li sette Presidenti novi,
lui nu li ripijjò da li levati,
e pperò st’antri musi oggi sce trovi.
Nun c’è mmejjo che cquanno se sparaggna!
E accusí da cuattordisci pagati
mó ssò vventuno, e oggnun de cuesti maggna.
Roma, 
3 dicembre 1832.

Versione. I risparmi. Papa Pio (Pio VI) durante il suo pontificato mise a Roma un presidente per ognuno dei [quattordici] rioni (quartieri). Ma morto lui, papa Leone (Leone XII ) pose il limite di un presidente per ogni due rioni. Senonché ai sette presidenti scartati continuò a far versare la pensione. Poi arrivò un altro papa Pio (Pio VIII) , che aveva un’opinione diversa, e tornò al vecchio sistema. Però i sette presidenti nuovi non li ripescò da quelli messi a riposo. Fatto sta che oggi ci trovi queste altre facce. Non c’è cosa migliore che quando si risparmia! E così da quattordici pagati, ora sono diventati ventuno, e ognuno di loro mangia.

-CARRIERE LAMPO: DA BARBIERE A "MARITO DELLA MOGLIE DEL PAPA", A SCRITTORE. Le cariche municipali capitoline della Roma dei Papi sono poco note ai più. Ce ne parla il Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica del 1841, poderoso lavoro collettivo a cura della stessa Curia romana, ma materialmente raccolto e compilato da quel famoso Gaetano Moroni che era stato beneficato da papa Gregorio XVI con elargizioni di denaro e con la carica di cameriere segreto, perché "marito della propria amante", come scrisse Stendhal, allora console francese a Civitavecchia. Il Belli allude al Moroni e alla di lui moglie, "puttana santissima", in alcuni sonetti: ne parliamo in altro articolo. Fatto sta che, ex giovane barbiere di Sua Santità, il Moroni fa una folgorante carriera, divenendo non solo ricco ma anche discretamente erudito. Tanto che ora siamo costretti a citare il "suo" dizionario, che consta di ben 103 volumi.

CAPORIONI DI IERI E CAPORIONI DI OGGI. Dunque, fin dal ‘400 i caporioni (poi presidenti dei rioni, le 14 tradizionali circoscrizioni di Roma) fecero i Conservatori nel Palazzo del Campidoglio. Esistevano anche un Priore dei caporioni, 14 vicepresidenti o capitani, 14 segretari, ispettori e portieri, più commessi e addetti (o esploratori). Tutti dipendevano dal Governatore di Roma, il cardinale camerlengo. E, altro che "auto blu": i caporioni di allora, ben diversamente dai caporioni di oggi, vestiti di anonimo blu come tanti autisti e senza decorazioni, ostentavano sull'abito da cerimonia del magistrato una croce di cavaliere con lo stemma d’oro del rione (p.es, quella del rione Pigna nella nostra immagine).
      I caporioni avevano diversi incarichi: ordine pubblico, controllo amministrativo e sul buoncostume, e consiglieri del cittadino (quasi degli ombundsman di quartiere), perfino giudici conciliatori fino a vertenze del valore di 5 scudi. Ogni caporione era assistito da vari constabili o capotori, con compiti di polizia urbana.


E LA NOBILTA'? DOVEVA ACCONTENTARSI DELLE FONTANE. Era la numerosa nobiltà disoccupata che viveva a Roma a dover prestare la corvée di caporioni e Priore dei caporioni, oltre alle più prestigiose cariche di Senatori e Conservatori in Campidoglio. Per esempio, solo per limitarsi ai marchesi Caucci, Lorenzo fu priore dei Caporioni nel 1805, e prima di lui Giovanni Battista era stato Conservatore nel 1725, 1749 e 1755.

      Questi incarichi municipali avevano un certo prestigio, e ne restano tracce, stranamente, sui bordi delle fontane monumentali. Su quella ora in piazza delle Cinque Scole, in Ghetto (1593, G. della Porta), p.es, sono scolpiti gli stemmi dei Conservatori e del Priore dei caporioni. Anche alla fontana di piazza S. Simeone, ugualmente del della Porta (in origine a piazza Montanara), modificata nel 1829, furono aggiunti gli stemmi dei magistrati capitolini (o conservatori), ed è proprio questo che ci ha permesso l'esatta datazione della modifica. Per la cronaca erano: Odoardo de’ Quintili, Paolo Carandini, Paolo Maretinez, Pietro de’ Vecchi (priore dei Caporioni).

LA PROCESSIONE PER LIBERARE I DETENUTI. Come retribuzione, more solito dei Papi, caporioni e priori avevano molto fumo e poco arrosto. Nel fumo c’era la prestigiosa messinscena barocca della processione in tempi di Sede vacante, cioè dopo la morte del papa, quando in pompa magna, preceduti da mazzieri e dall'intero capitolo dei capotori (oggi sarebbero i vigili urbani), a tamburo battente e col notaio capitolino, i caporioni di Campitelli e Regola, su incarico dei Senatori, si recavano a liberare i carcerati per reati lievi rinchiusi in Campidoglio e alle Carceri nuove di via Giulia. Non chiedeteci la ragione di tutto questo: ci sfugge. Anche perché era poi vanto demagogico di ogni papa appena eletto elargire condoni e liberare prigionieri. Insomma, anche allora, ogni pretesto, dal bianco al nero, era buono per svuotare le carceri affollate, luride e disumane.

PROVINCE, LEGAZIONI E CONSIGLI (NOMINATI). Se questa era, per sommi capi, l’organizzazione amministrativa e di ordine pubblico a Roma, figuratevi la complicazione e il sovrannumero delle cariche amministrative fuori Roma, sul territorio del Regno Pontificio. I mali attuali c’erano già tutti. La riforma del cardinal Consalvi aveva diviso il Regno in 20 province, 5 delle quali (Roma, Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì) governate da cardinali ("legazioni"), le altre 15 da monsignori ("delegazioni"). Per "risparmiare", il numero delle province fu poi ridotto. Ogni provincia era suddivisa in mandamenti, detti "governi", retti da un governatore. Ogni governo comprendeva diversi comuni retti da consigli comunali. Non certo eletti come in democrazia liberale, ma nominati dai cardinali legati o monsignori delegati tra i maggiorenti della città. A Roma, il comune era retto in Campidoglio da un senatore e 8 conservatori.

.UN'ECONOMIA DELL'ELEMOSINA. La Roma dei Papi, priva di industrie e di borghesia, ma zeppa di conventi e chiese, brulicante di preti, frati, monache, aristocratici ignoranti e nullafacenti, diseredati e questuanti, e per di più sede del Papato, era la città meno produttiva e più parassitaria d’Italia, come hanno scritto gli storici dell’economia. Lo Stato della Chiesa, il più arretrato d’Europa, aveva questa singolare caratteristica: quasi tutti i sudditi, in un modo o nell’altro, dai più poveri ai ricchi, vivevano di stipendi, rendite, elargizioni, prebende, spogli, regalie, elemosine e pensioni, spesso immeritate, elargite dalla Chiesa. Perfino il re del Portogallo, o meglio il pretendente al Regno rifugiato a Roma per questioni dinastiche, aveva conquistato il sua lauto assegno papale. Del che il popolino romano si lamentava, come riporta il Belli in un sonetto.

LE DUE PENSIONI DEL BELLI. Lo stesso Belli, pur sfortunato nel lavoro, ebbe però qualche piccolo, insperato colpo di fortuna, dovuto alle sue amicizie ecclesiastiche nella Curia. Si direbbe, anzi, assistito da un sindacalista geniale. E sì, perché aveva lavorato pochi anni in modo precario negli uffici statali (Spogli ecclesiastici e Demanio, da cui uscì nel 1810 con una pensione, sia pure irrisoria). Dal 1816 lavorò nell'Ufficio Bollo e Registro per essere collocato a riposo su sua richiesta nel 1826. "E' del 1841 la riammissione del Belli negli impieghi pontifici e del '42 la sua nomina a Capo della Corrispondenza." Ma ecco che "nel 1845, per diretta volontà del Papa, viene giubilato con una buona pensione" (L.De Bellis, Letteratura italiana). Fu poi anche censore teatrale, severissimo. Ma intanto, anche se piangeva spesso miseria, aveva lucrato due pensioni.

E I TEMPI NOSTRI? GLI SPRECHI DEGLI ENTI LOCALI. Insomma, la nostra attuale difficoltà a fare pulizia nel sottobosco delle rendite parassitarie e dei privilegi di questa o quella categoria, assemblea, provincia, regione, viene da lontano. Come per i capo-rioni o presidenti dei rioni del tempi del Belli, così ai giorni nostri neanche gli impiegati statali, le circoscrizioni comunali, i comuni stessi, le province, le regioni e gli enti inutili (o meglio, utili solo ai loro dirigenti e impiegati), si riesce ad eliminare o ridurre. Un esempio tra mille: la nuova provincia di Lecco, staccatasi da quella di Milano, doveva assorbire in teoria solo i preesistenti impiegati milanesi. Macché, di fronte all’offerta di un centinaia di impiegati provinciali meneghini, sta nicchiando. E’ chiaro che vuole scegliersi i propri, anche per far vedere alla popolazione locale che la nuova provincia serve a qualcosa: cioè ad impiegare qualche cittadino del luogo. Ecco a che servono in pratica gli enti locali. A creare una finta economia assistenziale e centralistica da stipendi, prebende e pensioni pubbliche. Che smentisce, oltretutto, qualsiasi localismo. Perché se davvero dobbiamo andare verso le autonomie locali – in un Paese così piccolo come l’Italia, che già è una piccola provincia dell’Europa (quindi è davvero "autonomia locale") – che almeno questi enti locali siano davvero autonomi e autosufficienti. Vedremmo allora veramente che cosa sanno fare da soli, senza l’assistenza pubblica, cioè lo sfruttamento dei cittadini delle altre province o regioni. Ma saprebbero fare poco o nulla. Come, appunto, ai tempi dei Papa-Re.

IMMAGINI. Governatore, nobili papalini, e stemma del rione Pigna.

AGGIORNATO IL 5 MAGGIO 2017

2 commenti:

jerk ha detto...

Insomma, certi nostri vizi vengono da lontano.

dr. Acquaviva ha detto...

Istruttiva e divertente questa... storia delle "carrozze blu"!

 
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