24 maggio 2010

Vizi capitali. I frati e la gola: il cioccolato come lasciapassare

Casti legumi, minestre di pane, zuppe di verdure da poverelli, diete vegetariane? Macché, questo esiste solo nei racconti per bambini, o nell’ingenuo immaginario popolare indotto dal calendario di Frate Indovino. La realtà storica e psicologica è un’altra.
Frati e monache, per tacere dei preti secolari, avevano ed hanno tuttora fama di ghiottoni senza pentimento e senza speranza. Basta ricordare nomi legati al cibo come strozzapreti e il "boccon del prete". La gola, insomma, succedaneo di altri vietati piaceri, compensazione dei sacrifici del sesso e della libertà.
Fatto sta che gli stessi formaggi, le uova, i legumi, e addirittura i pesci prelibati, sono cibi ormai venuti a noia nei conventi fin dal povero Medioevo. Le monache, si sa, stravedono per dolci e tagliatelle fatte a mano, ma i monaci? Diciamo che pensano ai più concreti e allusivi piaceri della carne. Lo hanno scoperto e provato accurate ricerche:
“Maiali arrostiti o lessati, grasse giovenche, conigli e lepri, oche sceltissime, galline ed ogni tipo di quadrupedi e di volatili domestici riempiono la mensa dei santi monaci”. Non basta? No: "il monaco non si sente pieno (e siamo nel Medioevo, NdR) se non può mangiare capre selvatiche, cervi, cinghiali, orsi. Perciò si perlustrano i boschi, si ricerca l’aiuto dei cacciatori, si uccellano fagiani, pernici, tortore, perché il servo di Dio non muoia di fame” (M.Montanari, Alimentazione e cultura nel Medioevo, Laterza 1988, p.73).
Le cose sono continuate più o meno così, solo con meno carne già ai tempi del Belli, e non perché si trattava di monaci, ma perché si scoprì che l’eccesso di carne favorisce la gotta, e oggi anche molte altre malattie.
La golosità e l’avidità di frati, monache e preti era ed è comunque cosa nota, e colpisce negativamente il popolo, che specialmente in tempi e aree di povertà diffusa, come la Roma del Belli, immaginava e tuttora immagina i religiosi come persone diverse, più virtuose della gente comune, e perciò non è disposto a perdonar loro neanche i vizi, come appunto quello della gola, che all’uomo della strada neanche verrebbero contestati.
La cioccolata e il cioccolato, bevanda o tavoletta che siano, storicamente sono “il conforto dei religiosi”: furono i preti cattolici ad importare per primi il cacao, istituendo il primo monopolio in nome della cattolicissima regina di Spagna. “Bevanda dell’anima”, fu definita dai Gesuiti, nonostante che quella originaria non fosse neanche dolce, ma puro cacao amaro in acqua bollente. Basta dire che il cioccolato e il caffè - guarda caso, le bevande dei preti - per decisione delle autorità ecclesiastiche “non interrompono il digiuno” per la comunione. Perché “liquidum non frangit jejunum”. Interesse privato in atti ecclesiastici? “Loro se la suonano e loro se la cantano”, commentava il popolino.
In un perfido sonetto del ’36 (La carità ddomenicana), il Belli descrive addirittura il Grande Inquisitore domenicano che mentre aizza i confratelli ad aumentare le torture al povero disgraziato, intinge cinicamente i biscotti nella sua bevanda preferita: il caffè con la cioccolata, a Roma popolarmente chiamato “mischio”.
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Llì a sséde intanto er gran inquisitore,
che li fa sfraggellà ppe llòro bbene,
bbeve ir suo mischio e ddà llòde ar Ziggnore.
“Forte, fratelli”, strilla all’aguzzini:
“Libberàmo sti fijji da le pene
dell’inferno”; e cqui intiggne li grostini.

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Versione. Lì a sedere, intanto, il Grande Inquisitore che li fa flagellare per il loro bene, beve il suo caffè con la cioccolata e dà lode a Dio. “Forte, fratelli”, urla agli aguzzini, “liberiamo questi figli dalle pene dell’inferno”; e a questo punto intinge i biscotti.

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Insomma, la cioccolata e il cioccolato erano per eccellenza “robba da preti”. Perciò non meraviglia che in un gustoso sonetto il Belli usi il cioccolato, in questo caso solido, come passepartout che apre ogni porta, soprattutto quella del convento, se il frate portinaio appare riluttante e il frate richiesto si fa negare perché “sempre impegnato”. Ma un certo deteriore costume italiano tocca tutti. Basta sostituire al frate portinaio la segretaria d’un qualsiasi deputato, assessore, professionista o giornalista, per avere un quadretto analogo: il regalino, goloso o no, apre tutte le porte.
Sul piano linguistico, infine, incuriosiscono gli efficacissimi “dico” e “dice” (“disce”) più volte ripetuti. Lo stesso Belli spiega in nota ai non romani che “rappresentano nel discorso volgare le transizioni dall’uno all’altro interlocutore”. Come un microfono che passa da una persona all’altra.
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LA PORTERIA DER CONVENTO
Dico: "Se pò pparlà ccor padr'Ilario?"
Disce: "Per oggi no, pperché cconfessa." -
"E ddoppo confessato?" - "Ha da dì mmessa." -
"E ddoppo detto messa?" - "Cià er breviario."
Dico: "Fate er servizzio, fra Mmaccario,
d'avvisallo ch'è ccosa ch'interressa."
Disce: "Ah, cqualunque cosa oggi è ll'istessa,
perché nnun pò llassà er confessionario." -
"Pascenza," dico: "j'avevo portata,
pe cquell'affare che vv'avevo detto,
ste poche libbre cqui de scioccolata..."
Disce: "Aspettate, fijjo bbenedetto,
pe vvia che, cquanno è ppropio una chiamata
de premura, lui viè: mmó cciarifretto."
30 dicembre 1832
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Versione. La portineria del convento. Dico: "Si può parlare con padre Ilario?" Dice: "Per oggi no, perché confessa." - "E dopo aver confessato?" - "Deve dire messa." - "E doppo la messa?" - "Ha il breviario." Dico: "Fate il favore, fra Macario, di avvisarlo che è cosa importante." Dice: "Ah, qualunque cosa oggi è lo stesso, perché non può lasciare il confessionario." - "Pazienza", dico: "gli avevo portata, per quell'affare che vi avevo detto, queste poche libbre qui di cioccolata..." Dice: "Aspettate, figlio benedetto, perché, quando è proprio una chiamata di premura, lui viene: ora ci rifletto."
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IMMAGINI. 1. Frati beoni in una vignetta umoristica. 2. Frate guardiano (dis. di Pezzini).

2 commenti:

S.Pietrino ha detto...

Eh, eh...:-) Divertente. E anche istruttivo: l'origine del commercio del cacao in mani ecclesiastiche... Non lo sapevo.

dr. Augin ha detto...

Proprio vero. Mia madre conosceva una suora che parlava sempre di dolci e ricette. E come lei era tutto il convento. Che infatti produceva su ordinazione tagliatelle, torte rustiche e dolci di ogni tipo. Ma il curioso era che, a differenza dei pasticceri che non toccano quello che vendono perché ormai disgustati dal dolce, quelle suore erano ancora golosissime e tutte grasse. Si vede che senza i piaceri della carne...

 
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